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Benjamin Zidarich: un progetto affidato al tempo

15 Maggio 2010 Roger Sesto
Benjamin Zidarich, assieme all’amico Edi Kante, è colui che ha contribuito al rilancio della complicata viticoltura carsica e segnatamente all’affermazione del vino/vitigno Vitovksa, oltre a produrre un’ottima Malvasia Istriana e un tipicissimo Terrano. Benjamin, che significa produrre vini che sanno evolvere virtuosamente nel tempo? “Essere in grado di proporre senza paura bottiglie vecchie, chiamiamole pure così, è una sorta di sigillo di garanzia per un produttore, una testimonianza della sua serietà, del suo valore. Vinificare vini giovani, freschi, è un lavoro relativamente semplice. Ma io sono un tradizionalista, voglio trasmettere il mio territorio attraverso la vinificazione di vitigni autoctoni. I miei vini escono non prima di due anni dalla vendemmia, e li ritengo ancora sin troppo freschi. Ora sono uscito con il 2007, per esempio. Tale freschezza, secondo me è dovuta al fatto che non eseguo filtrazioni, né stabilizzazioni, né alcun tipo di pratica enologica, tutto è giocato dal fattore tempo. Oggi, parlando dei mie vini, ritengo che siano pienamente godibili i 2004 e 2005”. Come ti regoli con le vecchie annate? Le conservi in qualche modo, e a quale scopo? “Ogni anno accantoniamo una partita di ciascun vino per test, comparazioni e verticali. Con l’andar del tempo le bottiglie che conserviamo sono sempre di più, per poter partecipare a manifestazioni e a eventi, così da poter coinvolgere un numero sempre maggiore di persone. D’altro canto i nostri vini sono da invecchiamento per eccellenza. Sono acidi, minerali, salini; una fragranza che si perpetua negli anni”. Ma secondo te, qual è l’intimo segreto della longevità dei vini del Carso? “In primo luogo il famoso terroir! La nostra è una zona dove domina la pietra, composta da tanti e variegati microclimi; la terra, rossa e ricca di ferro, è molto profonda. Per un verso abbiamo un clima sub-continentale, ma altresì le nostre vigne risentono pure dell’effetto della brezza marina. Insomma, una situazione microclimatica composita e complessa. Inoltre, un ruolo importante è giocato dalla forma di allevamento: da qualche anno abbiamo optato per il qualitativo alberello, che possiamo coltivare mantenendo una elevata densità di 8-10mila ceppi/ettaro. Se poi aggiungiamo che i vitigni sono quelli tipici del Carso: Terrano e Vitovska in primis, il gioco è fatto”. E in cantina, come ti regoli? “Semplice! Come ho già detto le lavorazioni sono ridotte al minimo. Macero le uve per 2 settimane in tini aperti di legno, con lieviti indigeni… e poco altro!”.  Ci racconti delle annate che più ti hanno entusiasmato della tua amata Vitovksa, di cui ne conservi una buona scorta in cantina? “Ricordo con grande emozione la 1996, un vino impressionante ancora oggi, freschissimo e dotato di una straripante mineralità, tutta carsica. Il 2000, anno a partire dal quale ho definito i miei attuali e un po’ ‘estremi’ protocolli di vinificazione, è oggi ricco e armonico. Il 2001 si presenta gradevole, ma più beverino. Il 2003, figlio di un’annata complicata, è grande proprio per questo: i vitigni autoctoni, essendo figli di un territorio, sanno esaltarsi proprio nei millesimi più improbabili: questa è la loro più grande forza! Ma se devo dire in assoluto l’annata più promettente in divenire, ebbene, quella è la 2006: ha generato un vino freschissimo, ancora molto giovane, di una vivacità incredibile e figlio di una vendemmia da manuale. Sempre che non venga battuto dalla 2009, oggi ancora impossibile da giudicare seriamente, ma con tutte le carte in regola per diventare un grandissimo millesimo”.

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