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Coffele: eccellenza in punta di piedi

15 Gennaio 2010 Roger Sesto
Situata nel centro storico di Soave (Verona) la Cantina dei Coffele, radicati nell’antico borgo sin dal 1691, è oggi tra le più ammirate della sua area, con vini che da sempre si distinguono per pulizia, discrezione, eleganza e territorialità. Ci racconta Alberto Coffele, enologo e co-patron della Casa: «Il mio vino del cuore è il Soave Classico Doc Ca’ Visco 2003, con il quale, pur con un’annata difficilissima, abbiamo ottenuto per la prima volta grandi riconoscimenti: una soddisfazione immensa. Credo sia stato un notevole risultato ricevere tali attestati di stima, seguendo personalmente – io, trentenne – ogni aspetto della vinificazione e con un vino da uve autoctone ottenuto senza l’aiuto del legno, in un periodo in cui era ancora assai in voga». Coffele parla poi di un altro millesimo che gli ha dato soddisfazione: «Il 1999 fu un’annata definita nella media. La vendemmia della Garganega iniziò il 4 ottobre per finire il 28, sviluppando il suo ciclo fenologico tardivamente: aspetto importantissimo, che non si è quasi più verificato in seguito. Buona parte dei grappoli fu raccolta in casse; la pigiatura dell’uva, non diraspata, fu fatta con una vecchia Vaslin con cilindro in legno, che usammo sino al 2002 ma che non escludo di riutilizzare ancora. Alcune bottiglie aperte poco tempo fa mi hanno colpito: trovare vini bianchi davvero piacevoli dopo 10 anni è entusiasmante, soprattutto quando non erano stati progettati per lunghe evoluzioni». Qual è il segreto di tale longevità? «Non ce n’è uno in particolare. Nemmeno il miglior terroir, nel nostro caso la collina calcarea di Castelcerino, può da solo esser sufficiente. Diciamo che si tratta di tanti piccolissimi dettagli e anche un pizzico di fortuna, come la scelta dei tappi per esempio». Un’altra annata della memoria? «Nell’ottobre 2007, in occasione della presentazione di una guida gastronomica, fu stappato a nostra insaputa un Soave Classico Doc 1985, per noi un vino base: il risultato? Sorprendente! Evoluto nei profumi, nel colore e col giusto grado di ossidazione, ancora stupiva ed emozionava. Chi l’avrebbe mai detto? Anche perché, ribadisco, in quegli anni il nostro obiettivo prioritario non era l’invecchiamento».
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