Al centro dell’incontro tenutosi a Villa Bertelli lo scorso 9 giugno c’erano le nuove leve: produttori, comunicatori e sommelier di talento che hanno raccontato la loro visione del vino italiano portando diversi spunti di riflessione. Le sfide del comparto sono numerose, la voglia di affrontarle altrettanta
“Il futuro del vino raccontato da chi lo farà”. Il titolo scelto dal direttore dì Civiltà del bere Alessandro Torcoli per il talk show della terza edizione VinoVip al Forte non lasciava dubbi sulle interpretazioni. Al centro i giovani, impegnati a vario titolo in un settore notoriamente poco aperto alle innovazioni come quello enologico. E tuttavia i tempi sono (un po’) cambiati e le nuove generazioni appaiono sempre più determinate a far sentire la loro voce e a mettere in campo le loro idee, come hanno dimostrato i protagonisti dell’incontro in Versilia, lo scorso 9 giugno.
«È dal 1997 che organizziamo VinoVip e non mi era mai capitato che uno dei relatori non riuscisse a esserci per problemi di salute», ha confessato il direttore Torcoli salutando il pubblico. «Il colmo è che sia successo proprio quest’anno che ho deciso di puntare sui giovani…». Gli assenti erano due, su un parterre di cinque, ma entrambi hanno voluto presenziare, almeno virtualmente, registrando un contributo audio.
Serve un impegno aziendale e corale
Il primo a intervenire via “messaggio” è stato il ventiseienne valdostano Alessandro Rosset, quarta generazione alla guida del gruppo Rosset Terroir, che ha scelto di ragionare intorno a due concetti complementari: il valore della sostenibilità ambientale e l’importanza della reattività ai cambiamenti climatici del sistema vino. «I consumatori, a cominciare da quelli più giovani, sono sempre più informati e consapevoli, disposti a spendere di più per bere meglio», ha spiegato Rosset. «E noi produttori abbiamo il dovere di far sì che la sostenibilità non sia solo un termine abusato, ma un insieme di azioni concrete volte al benessere delle vigne, di chi le lavora e ovviamente del consumatore finale». Perché questo avvenga occorre l’impegno della singola azienda e al tempo stesso un’azione corale. «Faccio un esempio che mi riguarda da vicino. . Il disciplinare della Doc Valle d’Aosta ci permette di definire la sottozona Petite Arvine solo se la varietà viene coltivata entro i 750 metri. Una soglia che era stata decisa 50 anni fa e che oggi appare ampiamente superata dai fatti e dalla storia. Noi, come molte altre Cantine, stiamo andando al di sopra quest’altitudine sia per la Petite Arvine che per altre uve per questioni di climate change. È questo che intendo dire quando parlo della necessità di una maggiore prontezza da parte dei Consorzi, e del comparto vino in generale, per far fronte ai cambiamenti che il futuro ci impone».
L’appello a un maggiore coinvolgimento
Il secondo contributo virtuale al dibattito è arrivato da Francesca Luna Noce, under 30 fiorentina rappresentante della categoria dei giornalisti. Il suo intervento è ruotato attorno al concetto di credibilità o meglio di mancanza di credibilità di chi fa informazione enologica oggi. «Noto che il pubblico dei lettori si sente escluso dalla narrazione, quando invece vorrebbe essere più coinvolto». Più che di crisi, Francesca preferisce parlare di evoluzione della comunicazione, legata anche al proliferare di canali, mezzi e soggetti che veicolano contenuti. Come Alessandro Rosset, anche lei ha richiamato alla responsabilità. «Sapere non basta, bisogna generare fiducia in chi ci ascolta, legge e segue. Si può essere profondi senza essere pesanti e chiari senza essere superficiali».





Un nuovo status per il sommelier
Tra i relatori presenti sul palco del giardino di Villa Bertelli c’era Paolo Porfidio, classe 1989, che dal 2019 ricopre il ruolo di head sommelier del ristorante Terrazza Gallia di Milano. «Il sommelier viene ancora visto con sospetto da chi siede a tavola», ha ammesso senza troppi giri di parole. Per una fetta di clienti resta qualcuno pronto a rifilare una bottiglia costosa o una fregatura. «Con Somm is the future, il nuovo movimento che ho fondato e che a oggi conta già più di 400 adesioni, ci proponiamo di ribaltare quest’immagine e valorizzare la nostra figura professionale per renderla sempre più protagonista del racconto enogastronomico contemporaneo». No a inutili tecnicismi e uno stile esageratamente ingessato. Per Porfidio non conta l’abito, ma l’approccio. «Il nostro compito è capire chi abbiamo di fronte e i suoi desideri senza imporre la nostra idea. La cosa più importante è raccontare la filosofia del produttore e le caratteristiche organolettiche del vino, dettagliando solo in un secondo momento gli aspetti di vinificazione e affinamento. E soltanto se da parte dei commensali c’è la voglia di approfondire». Se le vecchie generazioni appaiono mediamente più “prevenute”, dai giovani si riscontra tanta voglia di scoprire, fidarsi e lasciarsi guidare.
Come approcciarsi ai giovani sui social
La pensa così anche Ilaria Cappuccini, digital creator riminese che dal suo profilo Instagram Just.saywine parla di vino agli under 35 con un tono pop, aperto e inclusivo. Invitata dal direttore Torcoli a raccontare la sua esperienza, ha ricordato come tutto è cominciato nel 2021, dopo un Bachelor in arti culinarie all’Accademia Cordon Bleu e un Master in Food & Wine Business alla Luiss Business School. «Propongo contenuti verticali sul vino e il mio obiettivo è catturare l’attenzione di un audience nuovo nel tempo di un reel, ossia un minuto». Instagram è un luogo d’incontro, una piazza dove ritrovarsi. E per Ilaria sono fondamentali l’interazione e il dialogo con la community, attraverso commenti e messaggi in direct. «I giovani si sentono spaesati. Le abitudini di consumo sono radicalmente cambiate rispetto al passato, ma se hai la sensibilità di approcciarti nel modo giusto, ti accorgi che l’interesse non manca, va soltanto stimolato e accompagnato».
L’anfora come strumento e megafono
È ciò che cerca di fare anche Elena Casadei, vigneronne toscana figlia d’arte che ha respirato mosto fin da piccola nelle tenute dei genitori. Per opposizione, in età adolescenziale ha avuto una fase di rifiuto verso questo ambiente, ma poi il richiamo delle radici ha avuto la meglio e l’ha portata a sviluppare una sua personalissima filosofia produttiva, che mette al centro il territorio, la varietà e l’utilizzo dell’anfora. «Questo mondo è sempre stato molto chiuso, per certi aspetti simile a un conclave. Le nuove generazioni stanno provando a renderlo più pop, portando una nota di freschezza, leggerezza e sorrisi», ha spiegato. «La mia ricerca mi ha condotto alla scelta dell’anfora, che io intendo come uno strumento per mettere in evidenza il legame tra la varietà, il terroir e l’annata, rendendo tutto più chiaro e immediato nel calice».



C’è chi sceglie di andare oltre il vitigno
Paradossalmente, quindi un contenitore antichissimo diventa la chiave per comunicare una produzione moderna e capace di essere apprezzata dalla Gen Z.
Tra i giovani produttori tra il pubblico, il promotore del progetto Resistenti Nicola Biasi ha proposto un punto di vista opposto, che parte dalla ricerca sulle varietà Piwi. «Dobbiamo fare vini buoni, che esaltano il territorio. In questa prospettiva il vitigno è secondario, il tramite per raggiungere l’obiettivo. Credo sia arrivato il momento di tagliare il cordone ombelicale che ci lega alla varietà e iniziare a impostare disciplinari meno restrittivi. Le uve piwi rappresentano una soluzione per performare bene alle condizioni attuali».
L’incoming e una comunicazione originale
Anna Balbinot della Cantina Le Manzane, tra le colline del Conegliano Valdobbiadene Docg, invita a concentrarsi sul soft power e sulla valorizzazione dell’accoglienza, in scia alla crescente domanda di turismo slow ed esperienziale. «Come azienda, abbiamo cercato di andare oltre la classica visita in cantina più degustazione per offrire attività originali come il picnic tra le vigne, l’escursione con il defender e la nostra ormai storica vendemmia solidale. A livello consortile, invece, mi piace ricordare il Young Club del Conegliano Valdobbiadene che riunisce noi giovani produttori. Insieme facciamo rete e ci sosteniamo per far crescere il valore delle nostre amate colline e per promuovere le Rive, facendo capire che il Prosecco non è tutto uguale».
A chiudere il talk show ci ha pensato Riccardo Pasqua, amministratore delegato di una delle realtà più dinamiche e performanti del panorama vinicolo italiano. «Pasqua is the house of the unconventional, una strategia che fa leva sui 100 anni di storia e tradizione, strizzando però l’occhio al consumatore di domani attraverso un tono di voce inclusivo e più “sexy”». Progetti artistici, idee controcorrenti, strategie commerciali su misura. Sono queste le frecce per fare breccia nel cuore e nei gusti dei giovani.