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Il futuro della Doc Etna ha una doppia G: di Garantita e di Giovani

20 Settembre 2024 Alessandro Torcoli
Il futuro della Doc Etna ha una doppia G: di Garantita e di Giovani
I vigneti di Cantine Russo

Questa, in sintesi, la sensazione che abbiamo provato partecipando all’evento Etnadays, occasione per fare il punto sulla denominazione, per assaggiare le ultime annate in commercio, incontrare i produttori e visitare alcune tenute

Le cosiddette anteprime sono l’occasione per conoscere lo stato dell’arte di una denominazione e gli Etnadays, pur non definendosi propriamente “anteprima”, lo sono stati eccome: un convegno il 12 settembre è stato utile per conoscere le performance e il posizionamento dei vini dell’Etna in un mercato decisivo come quello degli Usa e per sentire cosa “bolle in pentola” dalla voce di presidente e direttore del Consorzio, con l’aggiunta di una “lectio” del prof. Luigi Moio sui punti di forza del territorio, di una suggestiva presentazione da parte Bertrand Gauvrit, direttore dell’Association des Climats du vignoble de Bourgogne, evidentemente un punto di arrivo aspirazionale per tutti i territori vinicoli.

Cosa ci si aspetta nel breve

Il presidente del Consorzio di tutela dei vini dell’Etna, Francesco Cambria, ha ricordato in primis il grande sforzo promozionale della denominazione, che ora si sta muovendo “in tandem” con il Consorzio di tutela dei vini dell’Alto Adige, territori del tutto diversi accomunati dalla presenza della montagna: una denominazione, seppure di successo come l’Etna, necessita di costante impegno per la sua valorizzazione. Cambria ha anche annunciato il cuore della politica viticola della regione, che prevede di crescere con cautela, al ritmo di massimo 50 ettari ogni anno. La Docg, che tutti attendono considerato il valore dei vini dell’Etna, è in arrivo: si pronostica circa un anno e mezzo di attesa per arrivare al completamento della raccolta firme necessaria.

Il boom e il ritorno dei giovani

Il direttore del Consorzio Maurizio Lunetta ha ricordato il successo della Doc che in 10 anni ha raggiunto i 1.500 ettari, raddoppiando la superficie. Onestamente, niente in confronto a cent’anni fa, quando la vite non aveva soluzione di continuità dalla città di Catania al vulcano, ma era un’altra viticoltura, prevalentemente “di soccorso” (agli altri, Francia compresa). Oggi la vigna etnea è solo l’1,3% della superficie regionale e somma circa 6 milioni bottiglie, ma i valori sono da pesi massimi, come vedremo. La novità è il ritorno dei giovani alle vigne dei padri: il 20% dei produttori oggi ha meno di 40 anni, rispetto al 10% del resto d’Italia.

Etnadays
Da sinistra, Carlo Flamini, direttore dell’Osservatorio vino dell’Uiv; il direttore del Consorzio di tutela dei vini dell’Etna Maurizio Lunetta; il professor Luigi Moio, presidente dell’Oiv; il direttore dell’Association des Climats du vignoble de Bourgogne Bertrand Gauvrit; e il presidente del Consorzio di tutela dei vini dell’Etna Francesco Cambria

L’America adora il vulcano

Carlo Flamini, direttore dell’Osservatorio vino dell’Unione Italiana Vini, ha esposto con estrema chiarezza uno spaccato di numeri davvero entusiasmante, per i produttori dell’Etna, con valori da primi della classe, secondo l’analisi dei dati Wswa (associazione statunitense dei distributori). Nei primi 6 mesi dell’anno le vendite negli States, come noto, non hanno brillato in generale, con l’Italia a -6,5%, rispetto a un totale Usa a -8,8%. Negli Stati Uniti l’Etna rappresenta il 28% dei siciliani a Doc e Docg e se ne vende più bianco (60%) che rosso.
Ed ora i numeri che fanno davvero onore alla denominazione. Sempre nei primi 6 mesi, innanzitutto, ha sostanzialmente tenuto, con un -0.2% (praticamente a pari), caso raro rispetto al già citato -8.8% del mercato. L’Italia vende in generale il 77% off-premise (enoteche, supermercati ecc… dove non si effettua mescita), la Doc Sicilia destina il 48% della produzione a questo canale, mentre l’Etna il 38%. Una particolarità che incide sui prezzi. Nell’on-premise (ristorazione e dove si consuma sul posto) il vulcano addirittura è cresciuto, con un +2,6% contro un’Italia a -4.5% e un totale USA -9.2%.
A livello di prezzi: un dato eclatante è il 34% dei vini dell’Etna venduto nella fascia 25-49,99 dollari, in crescita tendenziale. «L’Etna cresce nel segmento più profittevole e qualificante, cioè la ristorazione», ha chiosato Flamini. Nel confronto con altre tipologie, è una mosca bianca, come Barolo e Brunello, posizionato tra i 15 e oltre 50 dollari. Solo Oakville, il cuore della loro amata Napa Valley, fa meglio con il 90% delle vendite sopra i 50 dollari.

Le suggestioni di Luigi Moio

Il prof. Moio, presidente dell’Oiv, dopo aver ricordato la storia e il ruolo della prestigiosa organizzazione internazionale, ha voluto sensibilizzare la platea, di produttori e giornalisti, sulle tematiche a lui care, e in parte espresse all’ultimo VinoVip Cortina, in particolare riguardo alle “trappole” che rischiano di frenare lo sviluppo del settore. In estrema sintesi: l’ondata antiscientifica, l’igienismo estremo che sta diventando ossessione, la trasmissione generazionale viziata da una scarsa conoscenza di viticoltura ed enologia, l’eccessivo tecnicismo nella narrazione del vino, le invenzioni del marketing (dall’ascolto dell’effervescenza degli spumanti agli affinamenti sottomarini), una cattiva interpretazione della sostenibilità, un’eccessiva enfasi di certe mode stilistiche, come la rincorsa a replicare il modello “Pinot nero”. 
In conclusione, Moio ha ricordato, a proposito, che il Nerello non è affatto simile al Pinot, «mentre possiamo dire che l’Etna ha diverse caratteristiche riconducibili alla Borgogna, per come è organizzato il territorio», ha sottolineando riallacciandosi alla presentazione di Bertrand Gauvrit. «Il futuro del vino è in Italia», ha concluso Moio, «grazie al fatto che vantiamo molte varietà tardive (come Nerello, Carricante, Aglianico, Fiano, Greco, Montepulciano, Nebbiolo…)». Certo, a patto che non manchi del tutto l’acqua e che si gestisca bene la vigna.

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