Come sta il settore vinicolo italiano? L’indagine Mediobanca

Come sta il settore vinicolo italiano? L’indagine Mediobanca

Lo studio, che prende in esame le performance economico-finanziarie di 255 società di capitali italiane con fatturato 2021 superiore a 20 milioni di euro, attesta come il settore vinicolo italiano sia in buona salute, anche e soprattutto grazie al boom delle bollicine. Ma si teme per i consumi in relativo calo.

L’Area Studi Mediobanca ha pubblicato l’Indagine sul settore vinicolo in Italia. L’analisi è basata sul mercato mondiale del vino, ma esamina nello specifico le performance economico-finanziarie di 255 società di capitali italiane con fatturato 2021 superiore a 20 milioni di euro. Si tratta dell’89,3% del fatturato nazionale del settore. Lo studio comprende approfondimenti sui canali distributivi, sui mercati di sbocco e sulle tipologie di prodotto, senza dimenticare le specificità regionali. Il verdetto? Il settore vinicolo italiano è in buona salute, ma si teme per i consumi in relativo calo.

Il 2022 chiude in positivo, le previsioni 2023 sono rosee per le bollicine

Nel 2022, i maggiori produttori italiani di vino hanno chiuso con un aumento del fatturato del +10% (+10,5% il mercato interno, +9,5% l’estero). A spingere le vendite sono state le bollicine (+16,9%), che hanno accelerato più dei vini fermi (+8,2%). Prevalgono i mercati di prossimità (Paesi Ue), che si aggiudicano il 37,1% dell’export, ma si riduce la distanza con il Nord America (34,6%), mentre cresce velocemente l’export verso l’America centro-meridionale (+26,9%). Per il 2023 si attende, invece, una crescita ridotta delle vendite complessive del +3,3% (+3,1% per l’export) e, anche quest’anno, le bollicine saranno protagoniste (+5,2%, +4,2% l’export), mentre i per i vini fermi si prospetta un +2,8% (+2,9% l’export).

Il balzo del canale Horeca e l’affanno della Gdo

Il ritorno alle normali abitudini di consumo e la ripresa del flusso turistico che hanno caratterizzato il 2022, hanno anche favorito le vendite nel canale Horeca., che passa dal 16,6% del mercato nel 2021 al 18,1% del 2022, a svantaggio della Grande distribuzione in calo dal 37,7% al 36%. Le dinamiche dell’inflazione del 2022 hanno rallentato le vendite, ma la Gdo si è mostrata più restia a trasferire i maggiori costi sui listini al fine di preservare i volumi. Gli aumenti di listino hanno interessato in minor misura i vini d’entrata (+6,6% a valore), mentre aumenti a doppia cifra sono stati registrati per i vini premium (+13,7%). L’attenzione alla sostenibilità spinge, inoltre, le vendite 2022 del bio (+9,6% rispetto al 2021).

Il boom dell’enoturismo

Nel 2022 sono anche nettamente cresciuti i ricavi derivanti dai servizi enoturistici (+67% sul 2021). Il exploit è certamente dovuto alla ripresa del turismo in seguito ai due anni di restrizioni causate dalla pandemia, ma si tratta comunque di un dato importante. I turisti amano effettuare visite in azienda, offerte dal 78,8% delle imprese, seguite dall’accoglienza presso una propria struttura alberghiera (32,5%) e dalla ristorazione (27,5%). Solamente il 17,5% delle Cantine italiane non svolge alcuna attività enoturistica.

Frena, invece, l’e-commerce

Nel 2021 la classifica dei principali player dell’e-commerce del vino era guidata da Vino.com che ha fatto registrare ricavi per 43,3 milioni di euro, in crescita del+ 44% sul 2020; seguono Tannico (33,5 milioni, -9,7%) e Bernabei (31,8 milioni, +23,3%). Sopra i 10 milioni di euro anche il fatturato di Callmewine (17,1 milioni), in aumento del +38,4% sul 2020, e di XtraWine (12,6 milioni, +76,7%). Di poco inferiore il fatturato di Winelivery (9 milioni di euro) in aumento del +29% sul 2021. Il 2021 non è stato un anno positivo per le realtà di minori dimensioni (-6,3% i fatturati sul 2020), e nel 2022 le vendite on-line delle principali imprese vinicole hanno, in generale, subito un ridimensionamento del 3,7%, andando a costituire il 2,1% del fatturato nazionale.

Gruppo Cantine Riunite-CIV best performer del 2022

La leadership di vendite nel 2022 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-CIV, con fatturato a 698,5 milioni (+10,1% rispetto al 2021). Al secondo posto si piazza il neonato polo vinicolo Argea (che riunisce i marchi Botter e Mondo del Vino con 455,1 milioni, +9,6%), mentre completa il terzetto IWB Italian Wine Brands in crescita del +5,2% sul 2021 a 430,3 milioni. Fatturato 2022 superiore ai 400 milioni di euro anche per la cooperativa romagnola Caviro (417,4 milioni) in progresso del +7,1% sul 2021. Sette società rilevano ricavi compresi tra i 200 e 300 milioni di euro e sono: la cooperativa trentina Cavit (in calo 2,3% sul 2021), il Gruppo Vinicolo veneto Santa Margherita (+18,2%), la toscana Marchesi Antinori (+14,9%), la piemontese Fratelli Martini (+8,2%), La Marca, specializzata nella produzione di spumanti (+30,9%), la trentina Mezzacorona (+8,6%) e la veneta Zonin (200,1 milioni, +0,8%).
Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2022 vede in testa la toscana con Frescobaldi, seguita da Santa Margherita. Alcune Cantine, infine, hanno una quota di export molto elevata, in alcuni casi quasi totalitaria, come Fantini Group, che tocca il 96,4% e Ruffino con il 93,2%.

I territori del vino italiano

Dai conti aziendali emergono le specificità regionali: nel 2021 il miglior Roi (Return on investment) tocca alle aziende piemontesi (8,9%), alle toscane il più alto Ebit margin (pari al 15,7%), indice dell’efficienza economico-finanziaria di un’azienda. Alla Toscana va anche la maggiore solidità finanziaria, mentre i più grandi esportatori sono i produttori piemontesi (68,9% del fatturato). Ottimi risalutati economici anche per la Lombardia, con vendite 2021 in aumento del 18,6% trainate dalle bollicine (+29,9%) che rappresentano la metà del fatturato complessivo, così come per le imprese venete (+13,4%); performance superiori alla media nazionale anche per Puglia e Sicilia.

Un settore anziano e ancora prevalentemente maschile

Nel 2022 cresce la partecipazione dei fondi di private equity nei capitali delle principali imprese vinicole (+63,5% sul 2020), attestandosi al 4,6% del totale. Al controllo familiare spetta invece il 65,8% della aziende. Per quanto riguarda le caratteristiche dei board aziendali, l’Italia è ancora un Paese che si dimostra relativamente anziano: le presidenze sono occupate da persone con un’età media di 62,5 anni. I Millennials (nati tra il 1980 e il 1994) occupano solamente il 13,1% delle cariche. Male anche per le quote rosa: le donne entrano solo nel 12,8% dei board (23,8% nelle società non cooperative). Infine, è stato dimostrato che il 68,6% degli amministratori italiani ricopre la propria posizione in una società situata nella stessa provincia di nascita: il localismo caratterizza, in particolar modo, gli amministratori nelle regioni del Nordest (76,4%) e nel Sud e Isole (74,1%).

Foto di apertura: secondo l’indagine di Mediobanca anche nel 2023 le bollicine saranno protagoniste © Strada del vino Franciacorta

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© Riproduzione riservata - 08/06/2023

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