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Gli 80 anni di Argiolas: da Serdiana al mondo

28 Gennaio 2019 Alessandro Torcoli
Gli 80 anni di Argiolas: da Serdiana al mondo

Una vendemmia come nel 1938, con buoi, ceste e uva pigiata a piedi nudi: l’esperienza della famiglia con amici, giornalisti e importatori. E per finire una lunga tavola sotto le stelle e un’immensa bottiglia di Turriga 2008.

Sembra un secolo fa, e in effetti sono passati 80 anni. Due buoi, molto pii a giudicare dallo sguardo, alti al garrese quasi due metri, incedono nella vigna. Qui maturano le più tipiche varietà isolane, 30 ettari di Nasco, Monica, Nuragus e Vermentino, accompagnate dalle vibrazioni sacre della chiesa romanica di Santa Maria di Sibìola (sec. XI). Dalle ceste di vimini piove nella tinozza l’uva raccolta a mano, come nel 1938 (in basso un’immagine d’epoca), da amici di famiglia, giornalisti, importatori… è il gioco della vendemmia. C’è anche chi pigia a piedi nudi, naturalmente. Pare che abbia vinto la mia squadra, non per merito dello scrivente, capitanata dall’elettrica Francesca Argiolas, sorella di Valentina e cugina di Antonio (insieme nella foto). È la terza generazione Argiolas, intesa come famiglia-azienda.

Vendemmia nel 1930

Una famiglia di viaggiatori col cuore sull’isola

Antonio porta il nome del fondatore, che incontrai una decina di anni fa, ultracentenario, una quercia, come quelle del sughero che sull’isola è un bene prezioso. Antonio, il nonno, conservò sino all’ultimo un’ironia asciutta tipicamente sarda; raccontava di aver viaggiato troppo, ma su un’unica rotta, per Genova, dove commerciava principalmente formaggi. Antonio, il nipote, fresco di paternità, anche lui viaggia molto, ma in un raggio più ampio, mondiale, e studia per il diploma Wset. In mezzo, la generazione di Franco e Giuseppe, i fratelli che hanno reso celebri queste terre attorno a Serdiana in un periodo in cui si parlava, sul continente, solo di Gallura.

Turriga, colonna dell’enologia sarda

L’obiettivo era produrre un vino degno delle migliori tavole del mondo. Il “come” questo obiettivo fu raggiunto è legato al nome del taumaturgo dell’enologia italiana, Giacomo Tachis. Nacque infatti Turriga e fu innalzata la colonna dell’enologia sarda, il rosso con cui è inevitabile confrontarsi. Noi, durante la serata che segue la faticosa (si fa per dire) vendemmia, ci godiamo l’annata 2008 che scivola dentro e fuori dai calici con la sua grazia infinita, servita da un formato gigante, una bottiglia Melchior (18 litri), un lusso e una gioia sotto le stelle di Serdiana. Scorrono nei calici anche gli altri vini, che sono figli di cure nelle vigne, ma anche dell’energia innovatrice di questi giovani: il vibrante Merì, ad esempio, Vermentino che trattiene le brezze marine e sa di Mediterraneo. È un momento di pura condivisione voluto da una famiglia speciale, forte e gentile, che è difficile non riconoscere come profondamente sarda.

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 6/2018. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

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