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50 anni di storia del vino: Umani Ronchi, tre generazioni tra Verdicchio e Conero

50 anni di storia del vino: Umani Ronchi, tre generazioni tra Verdicchio e Conero

L’iniziale società e il passaggio a Massimo e Michele Bernetti. La ricerca delle zone e dei cru più vocati. I consigli di Giacomo Tachis e i blend con varietà internazionali. L’avventura in Abruzzo.

Nel 1957 Gino Umani Ronchi regala nome e vita a una piccola azienda agricola a Cupramontana, paesino dei Castelli di Jesi adagiato sui morbidi declivi tra gli Appennini e le rive adriatiche marchigiane. Ma sono l’ingegner Roberto Bianchi e il suo giovane genero Massimo Bernetti, che entrano come soci nell’attività e in breve tempo la rilevano interamente, a farne presto un nome di riferimento per il Verdicchio e non solo. «Mio nonno materno, Roberto Bianchi, era un imprenditore illuminato che veniva dal settore marittimo ma aveva una grande passione per l’agricoltura», ricorda Michele Bernetti, oggi mente e cuore dell’azienda insieme con il padre Massimo. «Chiese a mio papà, che si era appena sposato e veniva da studi diplomatici, di aiutarlo ad avviare l’attività. Alla fine, quello che per lui doveva essere un impiego di pochi mesi si è trasformato in una passione lunga più di 60 anni».
Quando Umani Ronchi abbandona la società per trasferirsi a Roma con la famiglia, Bianchi, che possedeva dei vigneti a Osimo, alle pendici del monte Conero, decide di trasferire lì l’attività costruendo una nuova cantina nel 1968. «Mio nonno era un uomo d’iniziativa e contagioso entusiasmo, mentre mio padre rappresentava inizialmente il braccio operativo dell’impresa. A poco a poco si è calato nel mondo del vino, comprendendone tempi e ritmi. E capendo in fretta che la qualità doveva passare dalla gestione diretta della vigna e dell’uva. Così a cavallo tra gli anni Settanta e Novanta si dedicò ad ampliare la collezione di appezzamenti di proprietà triplicandola e passando da 50 a 140 ettari (oggi la superficie ha raggiunto oltre 200 e comprende la tenuta a Montipagano, in Abruzzo, nelle Colline Teramane, nda)».

L’incontro con Giacomo Tachis

Verdicchio e Rosso Conero sono le vocazioni più intime e l’aspirazione all’eccellenza dà impulso nei primi anni Ottanta a una fase di ricerca, differenziazione e valorizzazione delle zone più vocate per creare selezioni come il Casal di Serra e il Cùmaro. E allo stesso tempo nasce anche l’idea di far conoscere questi prodotti a un pubblico più vasto. «Si ritenne auspicabile non limitarsi alla vendita sul solo mercato interno, ma cercare nuovi sbocchi anche all’estero, perché in Italia il mercato del Verdicchio allora era in mano solo ad alcuni marchi. Fu in quel momento che mio padre abbandonò l’idea d’intraprendere la carriera diplomatica, ma è riuscito a diventare un grande ambasciatore del Verdicchio nel mondo».
È lo spirito sperimentatore che guida le scelte di Massimo Bernetti, che nel corso degli anni si consulta con esperti e istituti accademici alla ricerca di evolute tecniche enologiche per esprimere vini sempre più aderenti alla loro origine pedoclimatica.
«L’incontro con Giacomo Tachis nel 1991 segnò un punto di svolta», racconta Michele. «Galeotta fu una spigola pescata personalmente da mio papà! Tachis, che aveva già creato Sassicaia, Solaia e Tignanello, infatti era poco convinto di cimentarsi coi nostri territori, e mio padre lo fece innamorare del Conero e della sua cucina. Il grande enologo aveva la capacità di semplificare molto il lavoro in cantina, ci trasferì l’importanza della cura della vigna, sicurezza nei metodi produttivi e ci diede continuità qualitativa. Vedeva nelle colline marchigiane una piccola Toscana e ci spronò anche a creare nuove espressioni, impiantando selezioni clonali di vitigni internazionali e introducendo per primi l’uso delle barrique nella regione».

Il successo del Pelago

Così nasce il Pelago, blend di Montepulciano e Cabernet Sauvignon con un tocco di Merlot, che proietta subito Umani Ronchi nel gotha internazionale conquistando con la prima annata del 1994 il Best Red Wine Overall, massimo trofeo all’International Wine Challenge di Londra.
La missione alla ricerca della qualità prosegue tutt’oggi attraverso la valorizzazione delle potenzialità di singoli cru. «Un concetto», aggiunge Michele, «sviluppato grazie all’enologo Beppe Caviola, originario di Dogliani, che ha trapiantato qui una impostazione molto piemontese. Dando alla luce vini come il Verdicchio Vecchie Vigne Historical o il Campo San Giorgio, la nostra più importante selezione di Conero».

Michele, dagli sci all’azienda di famiglia

Ma sono la grande apertura imprenditoriale, la capacità di svincolarsi dalle rigidità della tradizione e la voglia di esplorare nuovi orizzonti i tratti che forse hanno caratterizzato maggiormente la storia di Umani Ronchi. E che le hanno permesso di tracciare una strada per la comunicazione e la promozione dei vini regionali, facendo in molti casi da apripista in nuovi mercati. Una via che dopo Massimo ha imboccato anche Michele.
«Avevo studiato Economia e coltivavo la passione per lo sci. Il vino all’epoca non era nei miei progetti professionali», ammette. «La scintilla scoccò durante una licenza dal servizio militare, quando visitai una fiera a Bordeaux. Rimasi folgorato, non solo dai prodotti ma anche dalla capacità di comunicarli. Così mi sono appassionato a questo settore e ho deciso di passare tre mesi a Londra presso il nostro importatore di allora. Erano i primi anni Novanta e c’era grande fermento culturale e curiosità verso i vini di tutto il mondo, non solo quelli francesi. Dopo quell’esperienza assunsi un ruolo di sviluppo delle rotte commerciali dell’azienda e oltre agli storici mercati di riferimento dei nostri vini, come Usa, Uk e Germania, aprimmo una finestra nuova su Giappone e Paesi scandinavi, che oggi rappresentano mete primarie per il nostro export».

Foto di apertura: la Cantina marchigiana si trova alle pendici del monte Conero

UMANI RONCHI

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Osimo (Ancona)
071.71.08.019
wine@umanironchi.it
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Realizzato in collaborazione con Umani Ronchi

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© Riproduzione riservata - 16/11/2024

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