Il richiamo del Nuovo Mondo

Il richiamo del Nuovo Mondo

di Jeremy Cukierman MW

 

Secoli di esperienza in Europa e poi un passo indietro, in un nuovo ambiente, piantare vigne in una regione da scoprire, con storia, clima, topografia e geologia differenti. Negli ultimi decenni, molti imprenditori vitivinicoli del Vecchio Mondo hanno deciso di cogliere la sfida e di sviluppare progetti in Paesi lontani. A volte anche molto lontani. Quali sono i loro scopi? Che tipo di vini vogliono fare?

Attraverso nove progetti vinicoli molto diversi cercheremo di capire come l’Europa ha recentemente contribuito al successo del Nuovo Mondo.

In Cile è tutto davvero così facile?

Ad ascoltare le dicerie, il Cile dovrebbe essere una scommessa facile. Non esiste la fillossera, le condizioni climatiche sono perfette, c’è molta acqua proveniente dai nevai disciolti delle Ande, il caldo è temperato dalle brezze dell’Oceano: la ricetta perfetta. Ma è tutto davvero così facile? Nel 2003 il famoso produttore alsaziano André Ostertag decise che era giunto il momento di allevare viti lontano da casa. Un progetto sviluppato velocemente, nella valle di Casablanca, in Cile, in un luogo chiamato Montsecano: una vigna vicino all’Oceano, circondata da boschi e da una sola varietà, il Pinot noir.

André Ostertag e il Pinot noir a Montsecano

Sembrava il paradiso, eppure gli ci vollero anni per catturare lo spirito della nuova terra, per comprendere la risposta della varietà a un ecosistema differente. André si portò appresso le sue convinzioni. La vigna fu coltivata in aridocoltura, in un Paese dove l’irrigazione è la regola, seguendo i dettami della biodinamica. Le rese sono estremamente basse, in un Cile al contrario molto produttivo, e i vini della tenuta sono marcatamente complessi: profondi, con profumi spiccati di piccoli frutti neri, note di sottobosco che ricordano i vecchi alberi piantati lì da secoli. In sintesi: un viaggio molto lungo, la fedeltà a una filosofia, ma un nuovo messaggio nella bottiglia.

 

Nella valle cilena del Maule Elena Pantaleoni (La Stoppa) alleva il vitigno autoctono Pais

 

L’autoctono cileno di Elena Pantaleoni

Recuperare la fama di varietà locali in terre misconosciute sembra essere il leit-motiv di Elena Pantaleoni. Più di 25 anni fa, Elena acquisì La Stoppa in Emilia Romagna, piantò vitigni autoctoni e rapidamente divenne una delle figure vinicole prominenti della regione. Un riconoscimento alla storia locale presto applicato anche in Cile nella valle del Maule, dove coltiva un’uva locale chiamata Pais. Vigne molto, molto vecchie (alberelli centenari) tornate alla vita grazie a una illuminata vignaiola italiana. I vigneti sono coltivati anche con l’ausilio dei cavalli e senza irrigazione. Un’eredità viticola fantastica curata maternamente da Elena.

La rinascita del Pais

Il Pais, materia per vini dozzinali? Assaggiate un sorso di Pisador (solo 3.000 bottiglie prodotte nel 2016) e vedrete come, con molta cura, passione e una bacchetta magica italiana, un vitigno considerato povero possa essere in realtà magnifico. Rispetto della terra e delle varietà autoctone: come dare una bella lezione a un mondo del vino sempre più globale.

In Argentina la meta è la Patagonia

L’Argentina è rimasta a lungo nell’ombra, producendo in maniera molto tradizionale vini destinati al mercato domestico. Da vent’anni il Paese sta vivendo una profonda rinascita viticola, con molti nuovi attori, enologi consulenti, investitori stranieri europei ispirati, che vanno alla scoperta di regioni remote. Il Paese ha costruito la sua fama contemporanea su una sola varietà d’uva, il Malbec, ma non è solo questo. Portiamoci a Sud, in una terra verde e ancora vergine, nel terroir di Mainqué nel Rio Negro, la Patagonia: regione dal microclima fresco.

Chacra, un “ramo” della famiglia del Sassicaia

Nel 2004, Piero Incisa della Rocchetta, nipote del marchese Mario, creatore del Sassicaia, fondò Chacra nelle vigne meridionali dell’Argentina. Chacra significa pezzo di terra destinato alle mele. Ora c’è una vigna coltivata biologicamente con viti a piede franco risalente al 1932: vi si producono cinque vini, quattro rossi e un rosé, tutti a base Pinot noir. Eleganza e setosità sono le parole chiave. Il vento delle Ande e le escursioni notturne contribuiscono alla delicata espressione di queste magnifiche bottiglie. Un’ispirazione positiva in una regione molto lontana dal centro della viticoltura nazionale, che è Mendoza. Il futuro dell’Argentina potrebbe essere nel Sud e non solo nel Malbec? Possibile.

 

In Patagonia Pietro Incisa della Rocchetta ha recuperato una vigna a piede franco del 1932

 

In Oregon, l’Eldorado del Pinot noir

La ricerca di regioni fresche, in un mondo che si sta scaldando, è un tema sempre più ricorrente. Se trovi un territorio in condizioni climatiche meno torride, con suoli vulcanici drenanti, ricchi di ferro e di argilla, possiedi la ricetta ideale per vitigni molto sensibili. Non sorprende quindi che l’Oregon sia diventato l’Eldorado del Pinot noir negli ultimi decenni. Jay Christopher Somers amava suonare la chitarra e voleva diventare una rockstar mentre Erni aveva studiato archeologia in Germania. Presto prevalse la loro passione per il vino.

J. Christopher Wines: una rock star e un archeologo

J. Christopher continua a possedere una bella collezione di chitarre ed Erni molti libri di archeologia, ma sono diventati famosi come vignaioli. La J. Christopher Wines, situata sulle montagne di Chehalem, fu fondata nel 1996 e segue i principi della biodinamica. Nel 2010 Jay Christopher siglò un accordo con il famoso produttore tedesco Ernst (Erni) Loosen. Il loro Pinot noir ha uno stile molto borgognone, tra i più delicati e profumati, ma anche tra i più strutturati dell’Oregon. Qual è l’obiettivo del progetto? Il piacere, la passione per un vitigno e, come spiega semplicemente Ernest Loosen, «portare la sensibilità del Vecchio Mondo nella creazione di un vino del Nuovo Mondo».

Australia e Riesling, quasi un paradosso

Qualche volta ci serve un paradosso per generare qualcosa di distintivo. Un Paese caldo, noto per i suoi vini carnosi (l’Australia), dove piantare il Riesling, un’uva molto sensibile al calore. Un’idea europea per una nuova conquista (pacifica) nel Nuovo Mondo. Secoli di storia a Scharzhof sul fiume Saar, in Germania, in fedele compagnia del Riesling. Agli inizi del 2000 il più importante ambasciatore della produzione vinicola tedesca, Egon Müller, decise di coltivare il suo vitigno preferito vicino ad Adelaide, in Australia, con un partner locale, Michael Andrewartha.

Kanta è la nuova avventura di Egon Müller

Il progetto di Müller si chiama Kanta e si è presto materializzato in un primo vino nel 2005. In un Paese caldo, una regione fresca, un pizzico di altitudine e mani esperte possono dare vita a vini composti, tesi e puri. Uno stile molto europeo per gli australiani, ma anche molto australiano per gli europei: un Riesling secco, cristallino con aroma fruttato di lime molto evidente. Perché scegliere l’Australia, quando sei un campione del mondo del Riesling in Germania? Perché quando sei radicato nella tua patria, devi viaggiare se desideri realizzare qualcosa di veramente nuovo e dimostrare al mondo che è possibile raggiungere risultati oltre ogni aspettativa, per niente ovvi.

 

In South Australia la Epicurean Way attraversa le regioni del vino di McLaren Vale, Barossa, Clare Valley e Adelaide Hills

 

In Nuova Zelanda un produttore di Loira

Un successo internazionale, quello della Nuova Zelanda, basato su Sauvignon blanc pungenti, intensamente aromatici e freschi provenienti dalla valle di Marlborough e Pinot noir profumati da Central Otago o da Martinborough. Persino i produttori europei possono solo alzare il cappello e cercare, semmai, di entrare nella partita. Uno storico produttore di Sancerre (valle della Loira) decide di attraversare il mondo fino la terra dei kiwi, per allevare Sauvignon blanc.

La famiglia Bourgeois nella valle di Marlborough

Dimenticate il classico complesso di superiorità francese: quando il mondo applaude, forse vale la pena prendere un aereo per vedere che succede. Tanto per capire. Passato il testimone alla nuova generazione (i figli di Henri, Rémi e Jean-Marie), la famiglia Bourgeois decise che era tempo di produrre Sauvignon blanc in un altro Paese. La Nuova Zelanda e la valle di Marlborough erano la scelta naturale e, nel 2000, acquistarono 98 ettari, presto battezzati Clos Henri, ai piedi delle colline meridionali della valle di Wairau. I vini uniscono la purezza di frutto del modello neozelandese con la profondità del Sancerre in Loira: non potenti quanto i più tipici Sauvignon blanc della Nuova Zelanda e con un supplemento di freschezza. Questa è l’Europa che riconosce il potenziale di un territorio straniero e investe all’estero per cercare di portare un pizzico di classicità.

 

L’articolo prosegue su Civiltà del bere 2/2018. Per continuare a leggere acquista il numero sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 01/06/2018

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