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Il futuro del Franciacorta si chiama Erbamat?

6 Dicembre 2018 Roger Sesto

Prevenire gli effetti del climate change e rafforzare il legame con il territorio. Sono questi i motivi che hanno portato al progetto di recupero dell’autoctono Erbamat in Franciacorta, spiegano dal Consorzio.

Da una parte la volontà di recuperare una maggiore identità e diversificazione grazie ad un approfondito legame con il territorio. Dall’altra la necessità di mitigare gli effetti del cambiamento climatico sui precoci Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero. L’attenzione del Consorzio nei confronti dei vitigni storici bresciani nasce già nel 2009. Fin da subito l’Erbamat si è mostrato il più interessante per il suo profilo aromatico neutro, il ciclo vegetativo medio-lungo e la buona tenuta del tenore acidico.

 

Grappoli di Erbamat

 

Per ora solo il 10% da disciplinare

Un vitigno capace di rafforzare il legame vino-territorio, differenziare il prodotto e bilanciare i continui anticipi vendemmiali. È una varietà piuttosto tardiva e di lenta maturazione. Offre ottime prospettive per conferire freschezza alle basi spumante, che stanno perdendo il loro nerbo acido. Con il nuovo disciplinare, in vigore dal 1° agosto 2017, la sua presenza resta limitata a un massimo del 10% delle cuvée. Questo per non incidere troppo repentinamente sul profilo sensoriale dei Franciacorta. Inoltre la fase di sperimentazione, che vede coinvolte aziende quali Barone Pizzini, Cà del Bosco, Castello Bonomi, Ferghettina, Guido Berlucchi, Ronco Calino, non si è ancora conclusa.

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