Effetto coronavirus: mancano braccia straniere nei campi (e in vigna)

Effetto coronavirus: mancano braccia straniere nei campi (e in vigna)

Da fine febbraio l’Organizzazione degli imprenditori agricoli aveva lanciato l’allarme per l’improvvisa mancanza di braccia straniere nelle campagne italiane. Ora il problema rischia di esplodere per tutti i comparti del settore agricolo, viticoltura inclusa.

«Abbiamo chiesto al governo di reintrodurre i voucher cartacei per poter reperire manodopera italiana, altrimenti c’è il serio rischio di perdere i raccolti». Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, non usa giri di parole: «Il momento è critico e lo strumento dei voucher, snello, veloce e controllato, anche per un tempo limitato, potrebbe aiutare le imprese agricole in grande difficoltà per la fuga dei braccianti stranieri dai campi».

L’allarme da fine febbraio

La questione è molto seria. Già alla fine di febbraio, quando il ciclone Coronavirus non aveva ancora espresso tutta la sua violenza, l’Organizzazione degli imprenditori agricoli aveva lanciato l’allarme per il venire meno di braccia straniere dalle campagne italiane, a causa delle misure di cautela adottate da alcuni paesi europei, Romania, Polonia, Bulgaria in prima fila. In pratica tutti i lavoratori impegnati nelle regioni del nord Italia, in particolare in quelle colpite per prime dal virus come il Veneto e la Lombardia, rinunciavano a venire in Italia, perché erano costretti dai loro paesi di origine a sottostare a quarantene e altre restrizioni, ancora prima che queste misure divenissero obbligatorie nell’attuale drammatica pandemia.

Il grafico evidenzia la netta maggioranza della Romania fra le nazioni di provenienza dei lavoratori stranieri in Italia (dati Coldiretti 2019)

Oltre un quarto dei lavoratori sono stranieri (soprattutto rumeni)

E a questo punto? Alcuni numeri la dicono lunga su quanto contano i braccianti stranieri nel settore agricolo nazionale. Più di un quarto del made in Italy a tavola è infatti frutto del lavoro di manodopera straniera: 370 mila lavoratori regolari dall’estero impegnati ogni anno in Italia. Nel grafico realizzato tenendo conto dei dati Coldiretti (che ha collaborato al Dossier statistico 2019), sono raccolti i principali paesi di provenienza degli occupati esteri. Come si può vedere, la comunità di lavoratori agricoli largamente più presente in Italia è quella rumena con oltre 107 mila addetti. Al secondo posto c’è il Marocco da cui provengono più di 35 mila lavoratori, seguito da India (più di 34 mila) e Albania con oltre 32 mila. Sono più contenute, ma comunque superiori alle 10 mila persone le comunità senegalesi, polacche, tunisine, bulgare, macedoni, pakistane.

La situazione in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna

Tanta tanta gente che percorre tutta la penisola in lungo e in largo, in funzione delle stagioni e delle necessità, dalla raccolta delle arance a quella dei pomodori, dalle mele alle carote. Entrando nel dettaglio delle tre regioni più aggredite dal coronavirus, si può dire che in Lombardia indiani, rumeni e marocchini sono le comunità più presenti, impegnate prevalentemente nell’agricoltura tradizionale, nel florovivaismo e nella trasformazione agricola e zootecnica. Sempre questi tre settori operativi assorbono il maggior numero di lavoratori in Veneto, con provenienze, anche qui da Romania, Marocco e India. Mentre in Emilia Romagna sono gli albanesi i lavoratori più impiegati accanto a rumeni e marocchini.

Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Lombardia (dati Coldiretti 2018)
Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Lombardia (dati Coldiretti 2018)

Il settore agroalimentare è operativo, ma manca manodopera

L’improvvisa mancanza di queste braccia si è già fatta sentire sulle primizie di stagione come gli asparagi in Veneto, ma la preoccupazione sta aumentando di pari passo con l’avanzare delle stagioni. «Nonostante il settore agroalimentare sia un settore garantito nella sua continuità operativa, ci troviamo di fronte a una grande criticità nel reperire manodopera omogenea per le raccolte che in questo periodo riguardano essenzialmente il settore dell’ortofrutta», dice Prandini. Nei prossimi giorni inizierà per esempio la raccolta delle fragole e più in generale sono molti i distretti agricoli del nord che si avvalgono in maniera massiccia dei lavoratori esteri: comunità che negli anni si sono ben integrate nel tessuto economico e sociale delle varie aree operative come la preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, degli allevamenti da latte e caseifici in Lombardia.

Anche il vino ne paga le conseguenze

E cosa succede nel settore vitivinicolo? Se è vero che in questo momento la gran parte del lavoro in vigna (potature e legature) è stato già fatto, «il problema potrebbe essere serio quando arriverà la vendemmia, anche perché per alcune doc è prescritta la raccolta manuale», sottolinea Prandini. «Non c’è dubbio che anche per vino e vigna la manodopera estera sia indispensabile», spiega Ernesto Abbona, presidente dell’Unione italiana vini.

Il ruolo dei lavoratori stranieri nelle aziende vitivinicole

«Diciamo le cose come stanno. Nelle aziende strutturate gli italiani ancora attivi operano prevalentemente sui mezzi agricoli e in molti casi si occupano anche della potatura che può essere effettuata in un arco temporale più lungo. Tutti gli altri lavori manuali, legatura, scacchiatura e raccolta che richiedono una presenza di numerosi addetti, sono svolti ormai dalle cooperative di lavoratori esteri, in particolare macedoni, rumeni, dell’Africa centrale. Molti di essi, come per esempio i macedoni nelle Langhe, si sono perfettamente integrati, al punto che a Neive, vicino Barbaresco, si è costituita la seconda più grande comunità ortodossa in Italia», prosegue Abbona.

Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Emilia Romagna (dati Coldiretti 2018)
Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Emilia Romagna (dati Coldiretti 2018)

Difficile sostituire manodopera specializzata

Al di là delle possibili soluzioni che potranno essere messe in campo, queste emergenze fanno riflettere. «In momenti come questi mi viene da dire che certi ragionamenti fatti con la pancia piena e un po’ di boria, siano fuori luogo», conclude il presidente Uiv. «La nostra società è sempre più caratterizzata da un’avanzata specializzazione del lavoro e se viene a mancare un pezzo di una catena, nel nostro caso manodopera specializzata, si capisce come sia difficile una sua sostituzione e come tutti siano utili. Tra l’altro il lavoro del viticoltore è tutt’altro che facile e poco intercambiabile».

La speranza: sconfiggere la pandemia prima della vendemmia

Va da sé che oggi l’auspicio di tutto il mondo del vino è che quando la vendemmia arriverà, l’Italia possa essersi lasciata alle spalle il dramma Coronavirus e il tema manodopera straniera possa essere largamente superato. «A tutto voglio pensare, meno che a quel punto si possa essere ancora in emergenza», auspica a questo proposito Sandro Boscaini, presidente di Federvini.

Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Veneto (dati Coldiretti 2018)
Le diverse nazionalità dei lavoratori stranieri in Veneto (dati Coldiretti 2018)

Stop al turismo e alle fiere internazionali

Ma intanto cosa possono aspettarsi i produttori italiani? Quali le ricadute del fermo Italia sul mercato del vino? «Bisogna essere realisti ed è chiaro che una bottiglia non stappata è una bottiglia persa» chiosa Boscaini. «Il turismo è fermo con tutto il suo indotto ed il danno è inevitabile. Inoltre sono saltate tante iniziative e tante fiere che rappresentano per noi altrettante occasioni per far conoscere e raccontare il nostro vino, in altre parole per fare marketing e promozione dei prodotti».

Il made in Italy “bollato” dal coronavirus

Come non bastasse, molto ha colpito, nei primi momenti, l’atteggiamento negativo nei confronti dell’Italia e dei suoi prodotti. «Ho apprezzato l’intervento della nostra ministra Teresa Bellanova in difesa del prodotto italiano che non potrà mai essere portatore di virus e ogni comunicazione in questo senso non può che intendersi come concorrenza sleale», scandisce Boscaini. Quegli attacchi paradossali sembrano oggi superati, ma resta fissato il principio.

Nel frattempo il mercato nazionale del vino, che a questo punto potrebbe anche restare orfano del Vinitaly (considerando le perplessità espresse da importanti enti di rappresentanza come Fivi, Federvini e alcuni Consorzi), vive un momento complesso e differenziato.

Fermo il canale horeca, vendite “natalizie” in gdo

Nel frattempo il mercato nazionale del vino vive, come tutti del resto, un momento delicato di attesa, registrando situazioni diverse dal punto di vista commerciale. Restano ancora buone le richieste di prodotto dall’estero, in molti casi funzionali alla costituzione di stock. È completamente fermo il canale horeca e non può essere altrimenti, visto il blocco totale di tutte le attività di divertimento, bar e ristorazione che rappresentano il canale principale di vendita delle cantine. E non sono poche le aziende che stanno evitando di inviare ordini, per non mettere in ulteriore difficoltà i locali o anche per la preoccupazione che non vengano onorati gli impegni. Al contrario, la grande distribuzione sta realizzando vendite “natalizie”, per dirla con gli operatori, con incrementi a due cifre del fatturato vino: evidentemente chi è costretto a rinunciare al suo ristorante preferito vuole almeno portarsi a casa una buona bottiglia di vino.

Pronti ad affrontare le difficoltà

«Al momento è impossibile fare stime sull’andamento del mercato, anche se è chiaro che ci sarà un calo», dice Abbona. «Qui in Piemonte veniamo da un ottimo 2019, con incrementi importanti in tutti i settori del turismo, del vino, della gastronomia. Più in generale tutto il mondo del vino ha attirato investimenti e anche l’industria che fornisce le cantine ha marciato a gonfie come dimostra il grande successo del Simei. Affronteremo questo momento difficile». L’importante, appunto, è sapere guardare avanti mantenendo i nervi saldi, pure in uno scenario in continua evoluzione.

In forse anche Vinitaly 2020

Tra i temi sul tappeto c’è per esempio il Vinitaly. Alcune parti del mercato hanno espresso perplessità, dalla Fivi al gruppo vini di Federvini, mentre altre credono che il Vinitaly riprogrammato a giugno, anche se in un format diverso, possa rappresentare un momento di rilancio di tutto il settore e più in generale del made in Italy nel mondo, vista la coincidenza con il Salone del mobile a Milano e con Pitti uomo a Firenze. È anche il caso di Coldiretti: «Il Vinitaly può segnare il momento della riscossa, una volta superata l’emergenza Coronavirus, e un segnale di ottimismo per il settore vino, tanto più che si tratta dell’appuntamento fieristico dell’agroalimentare italiano più atteso e partecipato», sostiene Prandini.

“Prima di Pasqua un progetto adeguato alla situazione”, promette Mantovani

Dal suo profilo Linkedin Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, dà appuntamento a tutti gli operatori: «Naturalmente continuiamo a monitorare la situazione italiana e internazionale e prima di Pasqua, come concordato con il settore, presenteremo, con il più ampio consenso possibile, un progetto adeguato alla situazione firmato Vinitaly».

Leggi anche:

Economia del vino e coronavirus: i rischi che corriamo

Un’opinione su Vinitaly 2020 a giugno

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© Riproduzione riservata - 17/03/2020

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