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Vini di Montagna (1): la Valle d’Aosta e Morgex

Vini di Montagna (1): la Valle d’Aosta e Morgex

I vini di montagna abitano luoghi aspri ed estremi. Le vigne sono strappate alle cime attraverso piccoli fazzoletti di terra, in un corpo a corpo con le rocce, le rupi e gli anfratti, tra terrazzamenti, muri a secco e forti pendenze. Dalla Valle d’Aosta all’Etna, questa nuova serie ci porta al cospetto di una viticoltura impervia e spettacolare, frutto di secoli di strenuo lavoro contadino, di cui è erede il vignaiolo moderno. Prima tappa: Morgex.

La Valle d’Aosta è ancora sorprendentemente misconosciuta per la lateralità della sua posizione geografica e per gli esigui numeri produttivi. Parliamo di circa 500 ettari vitati, un’inezia se si pensa che l’Alto Adige, ad esempio, ha un’estensione dieci volte superiore.

I tre territori simbolo: Morgex, Torrette, Donnas

Questa regione non è solo terra di vini dalla spiccata personalità, ma anche quella con la più alta percentuale di viticoltura montana di tutta la Penisola. Ognuna delle sue denominazioni interne, che ricadono nell’ombrello generico della Doc Valle d’Aosta o Vallée d’Aoste e nei due versanti orografici della Dora Baltea (l’Adret, quello “dritto”, ovvero il più soleggiato e vitato, e l’Envers, “l’inverso”, cioè il suo contrario, meno esposto ma con vini d’indubbio valore), meriterebbe uno specifico approfondimento. Qui focalizziamo l’attenzione su tre territori che puntellano l’alta, media e bassa valle: Morgex, Torrette, Donnas. Ad ognuno sarà dedicata una “puntata” di questa serie sui vini di montagna.

L’esclusiva del Prié blanc

Situata ai piedi del Monte Bianco, la zona del Blanc de Morgex et de La Salle occupa il punto più alto della viticoltura valdostana, italiana ed europea, arrivando ufficialmente a toccare le vette di 1.200 metri sul livello del mare. A queste quote estreme, come accade anche sull’Etna, la viticoltura preferisce adagiarsi su dei pianori, anziché inerpicarsi lungo le linee di maggiore pendenza della montagna. A Morgex cresce un’uva non soltanto autoctona ma esclusiva di questo territorio. Si tratta dell’eclettico Prié blanc (ne avevamo già parlato qui), allevato su basse pergole in pietra o cemento e legno a poca distanza dal suolo per permettere alle uve di beneficiare del calore trattenuto dalle rocce durante il giorno. I suoli, di origine morenica come tutti quelli valdostani, sono sabbiosi, mentre le viti sono franche di piede. La vendemmia viene effettuata in ginocchio o da seduti e il paesaggio ha qualcosa di arcaico e ancestrale.

Il pioniere Alexander Bougeat

La nascita, l’identità e la valorizzazione di questo bianco artico – che nei profumi ricorda i manti erbosi degli alpeggi e in bocca è una lama acido-sapida – è legata alla figura dell’abate Alexandre Bougeat, “curé plebain de Morgex” dal 1946. Appassionato di geologia e agraria, fu il primo negli anni Sessanta a comprendere le potenzialità del Blanc de Morgex e a imbottigliarlo, occupandosi in prima persona di tutte le fasi della lavorazione e procedendo con una sensibilità e una consapevolezza da vero pioniere.
Fa raccogliere i grappoli in piccole ceste per non danneggiare le uve, pigia in cantina anziché in vigna come si usava fare al tempo, usa una stufetta a gas per far partire la fermentazione e apre le finestre per provocare una precipitazione naturale delle sostanze solide, non filtra il vino. Scrive sulla retro-etichetta: «Questo vino non ha subito trattamenti chimici e la sua chiarificazione è naturale. Rimane un organismo vivo in tutti i suoi elementi costitutivi, ma delicato come un bel fiore!».

Filosofia “naturale” ante litteram

E sul cartoncino che appende alle bottiglie: «Il sottoscritto ha escluso, non solo per necessità ma per scelta, l’utilizzo di metodi cosiddetti scientifici di vinificazione: nessun taglio con altri vini o uve internazionali, fossero anche i più rinomati; nessun correttore chimico, anche legalmente autorizzato, per modificare l’acidità o il grado alcolico; nessun filtro meccanico o sterilizzatore per conferire brillantezza al vino o garantirne la conservazione».
Frasi che sembrano uscite da una bottiglia contemporanea di “vino naturale”. In più incide il proprio nome sui tappi di sughero, consegna le vinacce a un distillatore per ottenere una buona grappa, si cimenta con la produzione del Metodo Classico, promuove il progetto di una Strada del vino. Insomma, un rivoluzionario. La prematura scomparsa gli ha permesso di produrre solo sette annate. Assaggiare oggi un suo vino è qualcosa di raro e memorabile. A chi scrive è successo con un 1971 che profumava d’idrocarburi come un Riesling, di erbe officinali, di rocce montane, di agrumi canditi e che al palato restituiva il lime, il pino silvestre, la menta.

vini di montagna Morgex
Mario Vevey, titolare dell’omonima cantina fondata dal padre Albert

La storia della Cantina Albert Vevey

In rapporto all’estensione moderata (26 ettari), la zona è ampiamente presidiata con una Cantina cooperativa e alcuni viticulteur encaveurs che spesso praticano la viticoltura come secondo lavoro. È il caso di Mario Vevey, la cui cantina porta il nome del padre, Albert Vevey, figura fondamentale per la nascita del moderno Blanc de Morgex et de La Salle. «Aveva sposato una ragazza di La Salle, che aveva portato in dote alcuni vigneti. Mio nonno aveva un’osteria e anche delle vigne a Morgex. Era naturale che mio padre cercasse di unire i due comuni che fino a quel momento rappresentavano due distinte comunità. Non mi sono mai sentito obbligato a continuare il lavoro di mio padre, ma c’era qualcosa che mi spingeva a farlo, una specie di richiamo» racconta Mario.
Nelle annate classiche il suo vino, come la maggior parte dei Blanc de Morgex, è embrionale, rigoroso, impenetrabile quanto penetrante. Nel tempo escono i fiori di montagna, l’agrume, la foglia di menta. L’acidità rimane verticale.

vini di montagna Morgex
I vigneti di Marziano e Valeria Vevey

Asprezza e sapidità firmate Crotta de La Meurdzîe

 «Mi sono trovata in mezzo a questo mondo fin dai primi anni di vita. Vado avanti e indietro tra vigna e cantina da sempre, ci lavoro nei fine settimana» dice Valeria Vevey, la figlia di Marziano Vevey, titolare dell’azienda Crotta de La Meurdzîe nonché cugino di Mario Vevey. «La nostra proprietà arriva a 7.000 metri quadrati tra proprietà e affitto, suddivisi in 15 parcelle». Il loro Blanc de Morgex et de La Salle ha sentori di fiori d’altura, di roccia fremente, di agrume fresco, il sorso si rivela pieno di succo, quanto aspro e sapido. Un vino contrastato e invitante che nel tempo rivela complessità sensoriale tra pietra focaia, roccia fumante, scorza di limone e pompelmo.

La ricerca identitaria di Ermes Pavese

«Ho iniziato con 2.000 metri di vigna e una cantina nel garage di casa. Ho lavorato in tipografia e fatto il macellaio per quattro anni prima di ampliare la cantina e diventare produttore di vino a tempo pieno». Dai sei ettari vitati (quattro a Morgex e due a La Salle suddivisi in 140 parcelle) Ermes Pavese produce uno dei Blanc de Morgex et de La Salle più espressivi in gioventù: dentro vi ardono la pietra focaia, le vibrazioni sassose, le lame minerali, gli agrumi fresco-aspri. L’acidità si ammanta di luce.
Da una piccola parcella di 900 metri quadrati a 1.100 metri di quota scalati su più terrazze, che Ermes sta piano piano recuperando su un costone roccioso, viene prodotto dal 2010 solo in formato Magnum il Blanc de Morgex et de La Salle Le Sette Scalinate, che è un’espansione del precedente sul piano dei fiori e degli agrumi, delle sensazioni minerali e della vibrazione gustativa.

Una éhatze nel cru La Piagne della Cave Mont Blanc de Morgex et de La Salle

La ricchezza della produzione cooperativa

La Cave Mont Blanc de Morgex et de La Salle è una cooperativa che coinvolge un’ottantina di viticoltori conferenti per una ventina di ettari frazionati in un numero quasi incommensurabile di parcelle. La produzione, guidata dal trentottenne Nicola Del Negro, ha una gamma ampia ed eterogenea, dal piacevole Blanc de Morgex et de La Salle al Blanc de Morgex et de La Salle Vini Estremi, uno dei più regolari.
Da ricordare anche il La Piagne, dal cru-icona di Morgex posto a 1.150 metri di quota su terrazze, delimitato da imponenti muri a secco, dove le pergole sono sorrette da bassi e tozzi pilastri di pietra, le éhatze, che dal 2019 fa un passaggio in barrique; e il Rayon, che nelle migliori annate è un bianco che fonde i fiori, le erbe e il fieno della montagna con gli agrumi e i graniti. La produzione si segnala anche per la spumantistica – in cui spicca il raro Blanc de Morgex et de La Salle Brut Nature Cuvée des Guides (1.000 bottiglie spumantizzate a 2.173 metri di quota) – e per un insolito vin de glace chiamato Chaudelune, da uve vendemmiate a circa -10 °C, che profuma di genepì, cera d’api e ginepro.

Foto dell’articolo © Massimo Zanichelli, elaborazione grafica foto di apertura © V. Fovi

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© Riproduzione riservata - 05/09/2023

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