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Valle di Cembra: grandi bianchi di montagna

Valle di Cembra: grandi bianchi di montagna

In Valle di Cembra l’uomo si è “affiancato” alla natura, modellandola senza stravolgerla. Domenica 5 novembre ai Milano Wine Days Mattia Clementi, giovane presidente della cembrana Rassegna Vini Müller Thurgau, ha introdotto il nostro sintetico ma esaustivo viaggio alla scoperta delle perle enologiche di questo originale angolo di Trentino. Tanto identitario, come ha ricordato Clementi, da conquistare finalmente il riconoscimento – in seno alla Doc Trentino Superiore – della sottozona (infelice lemma per identificare una qualcosa viceversa di maggior prestigio) “Valle di Cembra“.

 

Da sinistra Mattia Clementi, presidente della Rassegna Vini Müller Thurgau, e Alessandro Torcoli

 

Sottozona Valle di Cembra, le peculiarità di un terroir unico

Perché si tratta di un territorio tanto particolare, a ridosso del confine con l’Alto Adige? Innanzitutto per la sua viticoltura eroica praticata da millenni, frutto del lavoro dell’uomo che, pur nel rispetto più assoluto dell’ambiente, è riuscito a strappare terreno coltivabile alla cruda montagna, grazie alla creazione di impervi terrazzamenti, sapientemente sostenuti da secolari muri a secco, per uno sviluppo complessivo di circa settecento chilometri: autentica, mirabile opera di ingegneria agricola che non ha molti paragoni nella nostra Penisola e non solo.

Altitudine, esposizione, suolo

Ma a rendere unico questo terroir sono anche le altitudini ove qui è possibile coltivare la vite, che superano anche i 1.000 m slm. Questo grazie a una luminosità raramente riscontrabile altrove, alle temperate brezze che giungono dalla Valle di Laghi e quindi dal Benaco, e alla possibilità di sfruttare esposizioni – una variabile qui importantissima, tiene a precisare Mattia Clementi, dato il complessivo contesto pedoclimatico – che rendono la vite capace di offrire il meglio di sé. E naturalmente protagonista è anche il suolo, dalla matrice geologica costituita in prevalenza da roccia vulcanica effusiva che in centinaia di migliaia di anni è andata a comporre un terreno affatto particolare, costituito in prevalenza da massi e ciottoli di porfido, con buona presenza di calcaree e sabbia, complici dell’eleganza minerale e della sottile, affilata armonia dei nettari di questo comprensorio.

Grandi bianchi di montagna

Aerale prevalentemente vocato alla messa a dimora di varietà a bacca bianca, pur se Schiava e Pinot Nero nelle migliori espressioni possono tangere vette di notevole impatto organolettico, si esaltano qui cultivar quali Pinot Bianco, Kerner, Chardonnay, Riesling e – per antonomasia – Müller Thurgau. La degustazione della Masterclass (da me condotta) ha visto in carrellata una selezione di alcune fra le migliori espressioni dei vitigni appena citati.

Dal Còr, tutto il cuore (e l’anima) del Pinot bianco

Apripista il Còr, Pinot bianco 2016 di Corvée, da uve proveniente da vigne a 500 m slm, poste sul versante assolato del Monte Pincaldo e pertanto al riparo dai venti freddi del nord; sabbia, porfido e humus costituiscono la texture geologica del vigneto, allevato a Guyot e a pergola trentina. Affinamento per 7 mesi del vino sui propri lieviti in acciaio è il semplice protocollo enologico adottato, per consentire che sia il connubio vitigno-territorio a parlare. Il tutto per un vino ricco di profumi fruttati di pesca bianca, floreali di gelsomino e rosa, con un tocco di noce moscata, moka e cacao, non già frutto di affinamenti in legno, bensì dei precursori aromatici del Pinot bianco, qui alla loro massima esaltazione. Per un sorso polposo ma teso, morbido ma di vibrante acidità, con finale tipicamente sapido e di sontuosa, lunga armonia.

Müller Thurgau, da brutto anatroccolo a sontuoso cigno

A seguire il paradigmatico Trentino Doc Superiore Valle di Cembra Müller Thurgau Pietramontis 2016 di Villa Corniole, da uve provenienti da eterogenei appezzamenti cembriani, tutti rigorosamente terrazzati e posti tra i 600 e gli 800 m slm, dimoranti su terreni porfirico-calcarei e allevati a pergola trentina (evviva il riaffermarsi di questa forma tradizionale di allevamento) e a Guyot. Semplicissimo il disciplinare enologico impiegato: acciaio, temperatura controllata, affinamento (di nuovo, in acciaio) di alcuni mesi. Da un punto di vista organolettico è quanto di meglio ci si possa attendere da un vitigno quale il Müller Thurgau (Riesling x Chasselas), figlio di un’ante litteram attività vivaistica germanica. Una varietà creata più per produrre che per far bene, per anni trattata a questa stregua.

Pietramontis è il perfetto compendio delle sfaccettature del Müller

Da un paio di decenni, finalmente, il Müller Thurgau è stato riscoperto come grande bacca semiaromatica, giocata su di una sottile complessità organolettica una affilata armonia gustativa un tempo insospettabili, che in Val di Cembra, grazie a un terroir che par fatto apposta per questa cultivar, ha trovato il suo definitivo Nirvana. E non è un caso se, proprio qui, è approdato per la prima volta dalla Mittelleuropa nel 1939. Che dire di questo Pietramontis, perfetto compendio di tutte le migliori sfaccettature di questa varietà? Naso fine ma intenso di frutta tropicale, note di pompelmo e limoncella, erbe aromatiche di macchia mediterranea, gusto tagliente ma corroborato da materica sostanza, dalle spiccate sensazioni sapide, pietrose vien da dire, che rappresentano il top espressivo del Müller.

Armonico, aromatico e minerale. Il Kerner Zanotelli

Terzo vino in degustazione è il Kerner di Zanotelli, anch’esso targato 2016, da vigne allevate a Gujot e poste tra i 500 e i 650 m slm. Anche in questo caso, semplicissimo il protocollo enologico: acciaio, temperatura controllata, breve affinamento e via… a testimonianza che quando il connubio vitigno-terroir è perfetto e quando si lavora bene in vigna, esasperate lavorazioni di cantina tradiscono l’indentitarietà territoriale di un vino. E ciò che si ritrova nel vino di Zanotelli è giusto un garbato richiamo floreale dolce, sentori fruttati tropicali e di pesche a polpa bianca. In bocca il nerbo acido è come sempre deciso ma non sovrastante, con una spina sapido-minerale che ne compendia l’armonia, all’insegna di una gradevolissima bevibilità.

Nato da poco, è già una star

Da notare che il Kerner è un vitigno di recente creazione, nato solo nel 1969, anche in questo caso grazie all’intenso lavoro del vivaismo tedesco, figlio di Schiava Grossa x Riesling Renano, approdato rapidamente in Alto Adige e iscritto nel Registro dei Vitigni d’Italia solo nel 1981. Grazie alla sua spiccata personalità ha saputo in pochi anni imporsi come tra le più interessanti cultivar a bacca bianca di montagna, grazie al profilo aromatico suadente che riprende con maggior grazia le più marcate note del Gewürztraminer, soppiantando la fama di altre varietà più affermate quali il Sylvaner.

Un Riesling in fieri, che si farà superbo

Dalla Cantina Pelz un bell’esempio di Riesling, frutto di vigne poste su terreni sabbioso-ghiaiosi, limoso-porfirici: la tipica composizione geologica dei suoli della Val di Cembra, in buona sostanza. Viti allevate a Gujot, ad alta densità di ceppi/ha: 8.300. Ancora una volta enologicamente gestito all’insegna di una disarmante semplicità e immediatezza, presenta note dal deciso attacco floreale unito a un complesso corredo di erbe aromatiche quali salvia e timo. Ancora giovane, appare un po’ timido all’olfatto. Ma un naso attento non può non cogliere – in fieri – le più tipiche sensazioni dei grandi Riesling di razza: sentori di roccia che si faranno sulfurei di pietra focaia e di idrocarburi. In bocca è già più espressivo, con la composta grassezza di questo grande bianco, una notevole tensione acida, una vena sapida ben avvertibile, giusto per far capire che si tratta di un vino ancora agli albori del suo processo evolutivo.

Il rigore della montagna in un grandioso Chardonnay

Infine, non poteva mancare una bollicina. E che spumante! Da Opera, un Trentodoc Nature 2011, da Chardonnay in purezza, proveniente da viti esposte a sud-est e sud-ovest, alte fra i 400 e i 600 m slm, allevate a pergola trentina. Una pressatura particolarmente soffice contraddistingue la prima fase di vinificazione, a cui segue una fermentazione e un affinamento del vino base unicamente in acciaio. Quattro anni di sosta sur lies e l’assenza di liqueur d’expédition, consentono di far esprimere a questa bollicina tutto il carattere dello Chardonnay di origine e del rispettivo terroir.

Opera Trentodoc Nature

E difatti sin dalla sottile complessità aromatica di questo nettare si può cogliere tutto il potenziale della Valle anche per la produzione spumantistica. Sentori di pane croccante lasciano subito spazio a più complessi ricordi minerali. Di fiori bianchi, quali biancospino e acacia, di frutta a polpa bianca. E soprattutto a garbate note di frutta secca tostata, figlia non già di pratiche enologiche invasive, bensì dei precursori aromatici di uno Chardonnay di razza. La palatale tensione acida, andando a braccetto con una naturale grassezza estrattiva e maturità di frutto, fan si che la progressione risulti morbida e avvolgente, quasi a far dimenticare che si sta assaporando un tagliente metodo classico di montagna. Il finale è lungo, nitido, di indimenticabile pulizia, che spinge a un immediato riassaggio.

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© Riproduzione riservata - 09/11/2017

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