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Storie di vigna. Zýmē e Celestino Gaspari, l’erede di Quintarelli

11 Febbraio 2016 Alessandro Torcoli
Non è scontato, se sei cresciuto nelle austere cantine di Giuseppe Quintarelli, provare un’irrefrenabile passione per il nuovo. O forse sì, per reazione. Fatto sta che incontrare Celestino Gaspari è un’esperienza illuminante su come si possa viaggiare senza contraddizione apparente su binari paralleli. Anzi, il dialogo tra tradizione e innovazione, che per qualcun è solo uno slogan e anche piuttosto trito, per questo cinquantenne brizzolato e sognatore, è una religione nella Cantina Zýmē.

Acciaio, vetro e roccia nella cantina di Zýmē

Ti accoglie tanto per cominciare in un’architettura strabiliante, progetto dell’architetto veneto Moreno Zurlo, un innesto ardito della contemporaneità nella roccia viva. La cantina è infatti materialmente composta di due anime, quella di acciaio, vetro, fenditure oblique e giochi di luce, e le… memorie del sottosuolo, con la grotta di affinamento, che costituisce il nucleo originale, ricavata nelle cave del Quattrocento servite per ricavare pietra pregiata, destinata ad alcune ville palladiane dei dintorni. Il clima che questa realtà garantisce alla cantina è straordinario, un radiatore naturale.

Rispetto quasi maniacale per la tradizione dell'Amarone

Resti senza fiato, quando scendi dalla scala che rimanda alle forme di un cavatappi e ti tuffi nel cuore del vino di Zýmē: tutto è moderno, lindo e preciso intorno, ma in un angolo del pavimento respira una spaccatura dalla quale sale l’umore della terra, guardi dritto negli occhi il minerale, una fenditura carsica bagnata da acque costanti, più o meno prepotenti a seconda dei giorni. La filosofia di Celestino Gaspari è chiara: rispetto assoluto, maniacale, per la nobile tradizione di Valpolicella e Amarone; eresia totale, libertà incondizionata per i vini moderni.

Sapete cos'è il Zymetank?

Dunque cammini tra vasi vinari d’acciaio inox, tonneau da 550 litri, barrique francesi di bottai diversi (chiede, per queste, mescole di legno per avere qualità ed effetti costanti). E t’imbatti nel Zymetank, un brevetto di Celestino “Volevo una macchina che potesse essere automatica”, spiega, “ma che mi consentisse anche di ottenere estrazione omogenea e delicata della vinaccia, oltre al controllo termico e alle gestione di micro e macro ossigenazioni”. Tutto ciò, tradotto nel bicchiere, significa finezza e definizione degli elementi. Viene utilizzata, essendo chiaramente frutto dell’anima sperimentale di Celestino, per i vini innovati a Indicazione geografica.

Cemento, lieviti indigeni, grandi botti. L'Amarone Zýmē

Sull’Amarone, la tradizione: fermentazione in cemento, solo lieviti indigeni e affinamento, lungo o lunghissimo in grandi botti. In tutto, 80-90 mila bottiglie l’anno, una piccola produzione rispetto alle dimensioni della cantina, ma poco per i 30 ettari sparsi nelle aree più vocate della regione. Una crescita per piccoli passi, e grandi vini. L’azienda è stata fondata solo nel 1999. Il potenziale delle vigne è nettamente superiore, ma si preferisce selezionare il meglio per etichette aziendali, e vendere sfuso il resto: questo genera qualità e denaro, che finanzia l’azienda.

Dal Valpolicella Rêverie all'Amarone Riserva La Mattonara

Zýmē vuol dire lievito, in greco. Pertanto l’attività creatrice, che trasforma i frutti in vino, con la sua metafora di crescita, calza a pennello. Dei dodici vini assaggiati ricorderò qui gli opposti, il semplice e il complesso: cioè il Valpolicella Rêverie 2014 (a breve in uscita il 2015) da uve Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta, meno di 12 gradi alcolici, fresco, carezzevole ma per nulla banale con una sublime speziatura (10-12 euro in enoteca) e, naturalmente, l’Amarone Classico Riserva “La Mattonara” 2004 (170 euro), con 9 anni di botte alle spalle, etereo, balsamico, profondo, ancora fruttato nonostante la decisa nota di pepe e tabacco, al palato ha equilibrio perfetto, freschezza e persistenza.

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