Stati Uniti e Germania: cavalli da tiro insostituibili

Stati Uniti e Germania: cavalli da tiro insostituibili

Incrociamo le dita, ma il 2013 sembra muoversi col passo giusto. I dati per singole voci di prodotto e per Paese si fermano al primo bimestre, ma sono decisamente confortanti e mostrano una “marcia” ben diversa da quella del 2012. La quota in valore di vini e mosti esportata nel periodo ha raggiunto, infatti, i 722 milioni di euro, con un incremento del +15,2% su gennaio-febbraio 2012. In quantità, l’export ha toccato i 3.223.000 ettolitri, con un progresso del +2,2%.
Le anticipazioni sui mesi successivi indicano un rallentamento (c’è da sperare contingente) del trend di inizio anno. Ma intanto l’avvio ha capitalizzato un buon vantaggio rispetto al +6,7% in valore e al -8,6% in quantità dell’export 2012.
Va pure detto, per fare un attimo di benchmark, che il vino ha cambiato ritmo anche rispetto al food and drink nazionale. L’anno scorso l’export di comparto aveva “inseguito” l’industria alimentare del Paese. Il suo +6,7% in valore si era posto, infatti, dietro il +6,9% registrato dal settore alimentare nel suo complesso. Il +15,2% del primo bimestre 2013, invece, ha messo a segno un bel sorpasso rispetto al +10,9% realizzato in parallelo dall’industria alimentare nazionale.
Buoni auspici, dunque, a dispetto della morsa sempre più stretta della concorrenza internazionale. Il segreto? Essenzialmente la capacità di traino dei due “cavalli da tiro” dell’export di settore, gli Stati Uniti e la Germania, che hanno segnato una quota identica nel bimestre (160 milioni) con aumenti, rispettivamente, del +16,4% e del +18,3% sullo stesso periodo 2012.

La tabella mostra la progressiva crescita dei volumi di vino italiano destinati all’export nell’ultimo decennio. Dopo il boom del 2011 (23,2 milioni di ettolitri complessivi), il dato del 2012 conferma quello del 2010 (21,5 milioni)

Debole, invece, la spinta del terzo sbocco, il Regno Unito, che ha visto una crescita del +5,3%. E buoni, ma inferiori alla media, gli spunti di Svizzera (+10,5%), Canada (+14,2%) e Giappone (+13,9%), rispettivamente quarto, quinto e settimo mercato del comparto. La Francia mantiene a fatica la sesta posizione, ma va in retromarcia, con un -0,8%.
Per ritrovare trend brillanti bisogna tornare sui soliti mercati nord-europei: Svezia (+16,8%), Danimarca (+17,5%), Paesi Bassi (+16,9%). E bisogna andare soprattutto sulle grandi scommesse, sui nuovi Eldorado del futuro. Ci riferiamo alla Russia, che registra un corposo +48,6% (gonfiato per la verità dal confronto col difficile avvio del 2012 per i problemi burocratici). E poi soprattutto alla Cina che, con un confronto omogeneo e senza distorsioni, registra un +42,2% che potrebbe significare l’avvio verso posizioni più premianti, stante il nostro mortificante quinto posto tra i fornitori di vino su questa piazza.
Ma c’è un altro elemento positivo, che va sottolineato in questo avvio d’anno. È il fatto che il mercato “domestico” della Comunità, con una quota export nel bimestre di 377 milioni, ha segnato un passo nettamente inferiore (+7,4%) rispetto a quello registrato dal vino a livello “mondo” (+15,2%). In pratica, l’export comunitario, con una percentuale più che dimezzata, ha coperto in valore solo il 52,2% di quello complessivo, riducendo ulteriormente la soglia di incidenza della Comunità registrata nel 2012 (52,7%). Così, comincia davvero a farsi vicino un altro sorpasso di immenso valore strategico: quello dei Paesi extra-comunitari rispetto alla UE.
Va aggiunto inoltre che il citato +7,4% dell’export di comparto nella Comunità si confronta con un +3,5% in quantità. Ne deriva che anche l’apprezzamento del valore unitario del vino esportato nella UE è stato nettamente inferiore a quello registrato sui mercati extracomunitari.
Il vino, insomma, dimostra di aver imparato rapidamente la lezione della “palude” del mercato interno e della maturità di certi sbocchi. Per cui, sta tornando a fare da apripista verso i nuovi sbocchi commerciali rispetto agli altri settori alimentari. L’industria alimentare del Paese nel suo insieme rimane, infatti, molto più legata alla UE. Anch’essa, per la verità, si sta aprendo, ma la presenza della Comunità sul totale esportato da tutto il food and drink nazionale raggiunge, in avvio 2013, la soglia del 62,7%: un livello identico a quello del 2012 e, comunque, superiore di oltre 10 punti a quello del vino.
C’è da aggiungere che, dal punto di vista merceologico, l’avvio dell’anno mostra gli spunti più brillanti in valore per gli spumanti (+22,0%), per i vini Doc bianchi (+23,1%), per gli Igt bianchi (+19,4%) e per i vini “aromatizzati” (+20,6%). Fuori dall’area a denominazione protetta, è forte l’aumento degli “altri vini” (+27,7%). Mentre si pongono in controtendenza i frizzanti (-4,3%) e i liquorosi (-6,3%).
È interessante, infine, dare un’occhiata alle dinamiche dell’export dei principali esportatori mondiali. Dalla tabella emerge intanto che le esportazioni globali di vino sono cresciute, dai 72,2 milioni di ettolitri della media 2011-2005, ai 101,4 milioni del 2012. Ne esce un incremento globale del +40,4%.
Come si sono comportati i singoli Paesi e le singole aree? L’Italia ha tenuto bene il passo, con un incremento nel periodo (+43,3%) superiore a quello complessivo. I cugini francesi invece, più legati al prezzo, hanno mostrato solo un ritocco dei quantitativi esportati (+1,4%). Inferiore all’andamento generale, la spinta espansiva degli Stati Uniti (+34,4%) e del Portogallo (+26,9%).
Le performance più marcate, a livello europeo, vengono dalla Spagna che, con una crescita del +57,8%, comincia a insidiare, sul fronte della quantità, la leadership italiana; e dalla Germania, con un +61,7%. Ma i risultati più significative vengono soprattutto da aree e Paesi “nuovi”, come l’America del Sud (+103,6%), l’Oceania (+51,7%) e il Sudafrica (+75%).
Insomma, la torta mondiale si sta allargando rapidamente e sarà ben difficile per l’Italia tenere il passo anche in futuro e mantenere la fetta attuale, superiore al 21%. Occorrerà ripensare le strategie, riposizionarsi anche in termini qualitativi e di prezzo. Le quantità sono importanti, ma non sono tutto: quello che conta, alla fine della fiera, è la red

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© Riproduzione riservata - 05/08/2013

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