In Italia In Italia Riccardo Oldani

Si riparte, è tempo di acquisire. Considerazioni a margine del Pambianco e PwC Wine & Food Summit

Si riparte, è tempo di acquisire. Considerazioni a margine del Pambianco e PwC Wine & Food Summit

Il settore vinicolo si rilancia, con un nuovo scenario che favorisce acquisizioni da parte dei brand più strutturati. Gruppi che hanno la forza di investire sul digitale, di diversificare il prodotto e di puntare al segmento premium, quello con le migliori prospettive. E per i piccoli? Si annunciano tempi duri. Se ne è parlato di recente a Milano al Pambianco e PwC Wine & Food Summit.

L’informazione dovrebbe essere un bene e un valore in sé, ma a volte ci si rende conto che è sottesa ad altri interessi. Succede anche nel mondo del vino. Il Pambianco e PwC Wine & Food Summit, tenutosi lo scorso 15 settembre a Milano, ne è un chiaro esempio. Proposto come un’occasione per fare il punto sul settore e indicare i futuri trend di crescita, è stato in realtà una sfilata di grandi nomi del vino e della ristorazione italiana riuniti con il chiaro intento di creare condizioni proficue di business.

News e fondi d’investimento

Pambianco è un nome che si è fatto largo negli ultimi anni producendo newsletter sui settori moda, luxury e food & wine, che contengono una quantità fantasmagorica di notizie. Ma è anche una società di consulenze che, in collaborazione con il gruppo Quadrivio ha creato un fondo, il Made in Italy Fund, per investire nelle aziende italiane. Tra le imprese partecipate figurano anche XtraWine, società che opera nell’e-commerce del vino, e Prosit, gruppo che acquisisce Cantine italiane per creare un portafoglio di marchi da proporre sul mercato internazionale. Non è un caso che entrambe fossero presenti all’evento milanese, con i loro manager, per parlare insieme ad altri colleghi di come si prospetta il futuro per il mondo del vino italiano.

Alternative dopo la crisi

Del resto, dopo ogni grande crisi si sa che chi ne esce peggio si trova spesso di fronte all’alternativa di chiudere o di trovare un acquirente. Ed è proprio questo il messaggio più forte emerso dal summit: per chi ha i mezzi questo è il momento di investire e di rafforzarsi. Anche perché lo scenario internazionale del vino vede la presenza di entità sempre più potenti e strutturate, su dimensioni che i nostri gruppi non avvicinano neanche lontanamente.

I limiti dei piccoli

Lo ha detto chiaramente Sergio Dagnino, fondatore di Prosit, con 16 anni di esperienza in Caviro: «Le piccole Cantine sono la croce e delizia del nostro settore. Ci sono tante aziende con ottimi brand e grande passione che non riescono a fare il salto. Ma a mio modo di vedere questo avviene nel 90% dei casi non per un problema finanziario, ma per limiti di “forma mentis” e distributivi». Prosit fa quello che anche altre realtà stanno tentando negli ultimi anni in Italia: individuano aziende interessanti, propongono di acquisirle in toto o in parte, e ristrutturano la parte commerciale, eventualmente lasciando un ruolo operativo ai vecchi proprietari.

Gruppi in cerca di affari

Ma se Prosit nasce proprio con questo scopo dichiarato, non è dissimile ciò che stanno facendo altri gruppi legati a un brand o a una Cantina storica. Il Gruppo Lunelli, per esempio, legato al Ferrari Trentodoc, è uno di questi. Matteo Lunelli, il presidente e amministratore delegato, spiega anche perché le condizioni ora siano favorevoli alle acquisizioni.
«Brand come il nostro hanno avuto il vantaggio, durante la pandemia, di poter vendere direttamente a un pubblico di consumatori affezionati a uno specifico marchio, senza bisogno di intermediari come sommelier o ristoratori»,  assolutamente necessari invece ai piccoli produttori. Questo ha permesso di mantenere una posizione di forza. Negli ultimi mesi il gruppo guidato da Lunelli, in effetti, non solo ha siglato un accordo di tre anni con la Formula Uno ma ha anche acquistato un marchio famoso, come Tassoni, «con l’obiettivo di costruire un gruppo dell’eccellenza del bere italiano».

La ricerca si concentra su brand di valore

Italian Wine Brands, quotato in borsa, è reduce, come racconta il Ceo Alessandro Mutinelli, «da dodici mesi particolarmente brillanti. Nel gennaio 2015 il nostro valore in Borsa era di 65 milioni di euro. Ora è salito a oltre 400 milioni di capitalizzazione. Oggi osserviamo il mercato in cerca di brand di alto livello, posizionati nel segmento premium e stiamo investendo anche sui vini dealcolati, con l’intento di creare prodotti piacevoli al palato».

Alta competizione sul mercato

Ettore Nicoletto, presidente e Ceo di Bertani Domains, spiega invece come «il nostro obiettivo sia ora di allargare il perimetro dei nostri prodotti su denominazioni in cui non siamo presenti o su segmenti in cui siamo assenti, come quelli delle bollicine e dell’aperitivo. La ricerca di Cantine da acquisire, però, non è semplice, perché c’è molta concorrenza e il panorama dei potenziali target è estremamente rarefatto: difficile trovare opportunità di livello qualitativo in linea con quello di Bertani». Altissima la competizione, quindi, quando si tratta di acquisizioni. I capitali girano, evidentemente, e tutti si mettono in caccia.

Saltare le intermediazioni

Chi invece è soddisfatto del portafoglio di brand che ha costruito punta al rafforzamento dei propri marchi e dell’organizzazione aziendale per interloquire direttamente con il consumatore. Lo spiega Beniamino Garofalo, ad di Santa Margherita, che racconta come il gruppo sia arrivato, a fine agosto, «a risultati nettamente superiori rispetto a quelli del 2019, con tutti i nostri brand in crescita, e con la convinzione che la strada da percorrere va sempre di più verso la managerialità. Sviluppare l’online ci ha permesso non soltanto di vendere durante la pandemia, ma anche di creare un filo diretto con i wine lovers e con i nostri consumatori».
Al punto che una cosa è emersa chiaramente; se il brand è forte e riconoscibile si mette al riparo dalle possibili crisi distributive, perché il consumatore continuerà sempre a cercarlo.

Irraggiare il messaggio

Non dissimile la strada perseguita da un’altra azienda quotata, Masi Agricola, che spinge sul progetto denominato Wine Experience.
«Si tratta», dice il marketing director Raffaele Boscaini, «di creare luoghi di “irraggiamento” del nostro messaggio, come wine bar, locali, le nostre stesse tenute, ma anche di spingere sui social per creare una relazione diretta con i nostri consumatori. Il progetto è aprire un wine bar con il nostro brand ogni anno, scegliendo con cura le località. Non ci dimentichiamo però dei ristoratori. A loro abbiamo dedicato una campagna specifica, invitando il pubblico a tornare ai ristoranti».

La scommessa delle riaperture durature

Se anche i locali potranno riaprire con costanza, senza ulteriori provvedimenti di chiusura, le prospettive si preannunciano rosee. Allora davvero potremo davvero dire che il settore è ripartito. Magari con qualche piccolo produttore in meno e con le aziende più strutturate in crescita.

Foto di apertura: il mercato del vino riparte, creando occasioni di business soprattutto per i grandi gruppi che possono contare su capitali da investire. Se ne è parlato a Milano al Pambianco & Pwc Wine & Food Summit © Road trip with Raj – Unsplash.


© Riproduzione riservata - 29/09/2021

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