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Anche i rosati sanno invecchiare

13 Agosto 2018 Roger Sesto
Già parlare di bianchi invecchiati è arduo in Italia, con molti consumatori legati a vecchi pregiudizi che li identificano come vini da bere nell’annata. Scrivere di rosati da invecchiamento - una categoria di per sé snobbata nella Penisola, incompresa, poco comunicata -  è quasi un’impresa fantascientifica. Ma proprio per questo, lanciando il cuore oltre l’ostacolo, Civiltà del bere ha deciso di dedicare un approfondimento su questo tema, dimostrando così sul campo che anche i vini rosa possono essere in grado di offrire grandi soddisfazioni sensoriali, bevuti da giovani d’accordo, ma anche assaporati nel corso degli anni. Ecco pertanto una panoramica di alcune chicche italiche che, seppure di corallo tinte, sanno sfidare gli anni. Provenienti dai tre distretti storici: Garda occidentale, Abruzzo e Salento, ma anche da zone meno note, eppure anch’esse ricche di storia relativamente a questa tipologia.

I rosati da invecchiamento del Garda Bresciano

Cà dei Frati e il Chiaretto perfetto
A Lugana di Sirmione (Brescia) l’azienda Cà dei Frati, Igino Dal Cero al timone, ha sempre creduto nella longevità dei suoi vini, Lugana compreso. Da qualche anno si è inteso estendere tale filosofia ai rosati: il Rosa dei Frati, Riviera del Garda Classico Doc nasce con l’intento di renderlo tersa espressione del proprio terroir. «L’idea di un rosato capace di sfidare il tempo è nata incidentalmente, a seguito di una continua ricerca volta a trovare il chiaretto “perfetto” e che ci ha portati all’odierno Rosa dei Frati (Groppello, e altre uve). Il segreto è aver optato per un colore scarico, quindi più stabile non avendo tannini; quel buccia di cipolla che rientra nel nostro Dna, che fa pensare a un vino esile, ma che invece ha polpa da vendere». Il terroir è quello pianeggiante del Lugana, ma dal microclima – spira l’Ora del Garda – collinare. La clientela di Cà dei Frati è fidelizzata; il Rosa dei Frati conquista chi non ama il vino rosato, trovandovi un qualcosa di inedito.
Costaripa lo fa a “lacrima”
A Moniga del Garda - Benaco bresciano - dimora Costaripa di Mattia Vezzola. Tra le sue chicche figurano due grandi rosati “da invecchiamento”: il RosaMara, Valtènesi Chiaretto Doc e il Molmenti. Il primo è un assemblaggio di Groppello gentile (50%), Marzemino, Sangiovese e Barbera; frutto di vecchie vigne a Guyot. Dopo la raccolta manuale, ha luogo la vinificazione “a lacrima”, ossia si effettua uno sgrondo statico del mosto, incarnazione dell’essenza dell’acino. Il 50% del succo fermenta e affina in barrique usate per 6 mesi. Ne scaturisce un vino dalle tenui nuance cromatiche, che sa di pesca, lamponi, amarene e biancospino, con tocco speziato; setoso, armonico, sapido, persistente, con finale mandorlato. Perché impegnarsi nell’impervia strada dei rosati da evoluzione? «Perché», dice Vezzola, «una viticultura di qualità, dove occorrono 400 ore di manodopera per ettaro, merita vini che valorizzino il vignaiolo. Ciò è possibile con vigne ben esposte, vecchie di oltre 25 anni, poco produttive. La lavorazione a lacrima e tutte le successive lavorazioni in bianco sono dei protocolli enologici atti alla produzione di rosati longevi».
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