Quanto vale il vino europeo?

Quanto vale il vino europeo?

Nel report diffuso da PwC, multinazionale di servizi e consulenze alle imprese, un affresco dello stato dell’arte della filiera vitivinicola nell’Unione Europea. Al centro dello studio il valore complessivo, l’export, l’occupazione, il turismo e la produttività.  

I dati sono quelli del 2022, anno nel quale l’inflazione ha cominciato a far sentire la sua morsa, che poi si è abbattuta in modo importante soprattutto nel primo semestre del 2023, cambiando non poco lo scenario, soprattutto a livello di volumi e di export. Sono numeri, però, che hanno l’indubbio merito di radunare insieme, in un solo colpo d’occhio, molti importanti parametri economici e sociali che mostrano una fotografia del settore vitivinicolo a livello europeo. Si trovano nel report dal titolo: “Economic, social and environmental importance of the wine sector in the Ee” diffuso recentemente da PwC, multinazionale che offre servizi e consulenze ai professionisti e alle imprese. Abbiamo analizzato la sua versione completa per selezionare gli aspetti che abbiamo ritenuto più significativi.

Il vino vale lo 0,8% del Pil europeo

Il primo dato da evidenziare è il peso che riveste il settore vitivinicolo nel suo complesso, sommando le tre attività che compongono la sua articolata catena del valore, quindi viticoltura, industria enologica e commercializzazione, rispetto al Pil europeo: 0,8%. La stima di PwC (fonte dati: Eurostat e Statista) è che quindi i 165 milioni di ettolitri di vino prodotti a livello europeo nel 2022, pari al 62% della produzione globale, generino un valore complessivo di 130 miliardi di euro, sommando il valore diretto (56 miliardi), quello indiretto (50 miliardi) e quello dell’indotto (24 miliardi). L’attività economica generata dal settore vitivinicolo dell’Unione Europea equivale a quasi il 50% del valore aggiunto lordo totale realizzato dal settore dell’agricoltura nel suo complesso, includendo anche la silvicoltura e la pesca.

Export: 5 Paesi (su 194) generano il 67% del valore

Sul fronte dell’export, un tema sempre molto caldo, in primis per Paesi come Italia, Spagna e Francia, principali nazioni produttrici al mondo di vino e bisognose che la bilancia commerciale penda più dal questo lato che non da quello dell’import, il dato vede un valore complessivo di 17,9 miliardi di euro, 11,9 dei quali, ovvero il 67%, provenienti solo da 5 Paesi extra-Ue dei 194 nei quali l’Europa esporta: Usa, Regno Unito, Svizzera, Canada e Cina.
Con volumi ovviamente differenti: in cima troviamo Uk, con 7,2 milioni di ettolitri importati; in coda Cina e Svizzera, nazioni con proporzioni totalmente differenti tra loro, entrambe con 1,7 milioni di ettolitri. A valore in cima svettano gli Usa con 4,9 miliardi, Paese che da solo vale il 27% dell’export di vino europeo. L’export di vino ha consentito di ridurre del 3,7% il deficit della bilancia commerciale complessiva dell’Ue: il saldo commerciale di vino, infatti, negli ultimi 20 anni (2002-2020) è passato da 5,3 a 15,9 miliardi.

Nel vino c’è la miglior produttività del settore agricolo europeo

Per quanto riguarda l’aspetto occupazionale, il settore vinicolo vede 2,9 milioni di persone a livello europeo lavorare in uno dei sui tre settori, con in cima la commercializzazione (68,5%%), seguita dalla viticoltura (21,5%) e dalla vinificazione (10%). Ma al di là del dato meramente quantitativo (si tratta dell’1,4% di tutta la forza lavoro europea), il report evidenzia come il settore vinicolo abbia una produttività definita “eccezionale”, con un valore aggiunto più elevato rispetto ad attività similii all’interno di ogni sua fase della catena del valore. Chi lavora nella viticoltura, ad esempio, ha una produttività superiore del +90% rispetto a chi lavora nella produzione vegetale o animale, chi lavora nella vinificazione il +16% in più rispetto agli impiegati del settore manifatturiero, chi nella commercializzazione del vino il +5% in più rispetto a chi opera nel mondo nel generico mondo del food & beverage.

Se c’è la vigna, si abbandonano meno le zone rurali

Direttamente legato a questo aspetto, nonché alla redittività, maggiore del +15% rispetto alla media delle aziende agricole presenti in Ue, vi è anche il conseguente minor abbandono delle aree agricole dove sono presenti vigneti e cantine. All’interno di un contesto generale che ha registrato, negli ultimi 10 anni, un calo medio della popolazione che vive in aree rurali pari allo 0,7% (in tutta l’Ue le cosiddette aree rurali occupano metà del territorio, vale a dire 1,9 milioni di km2 con circa 93 milioni di abitanti, cioè il 21% della popolazione complessiva), il numero di persone che decide di abbandonare aree dove è presente la viticoltura è significativamente inferiore rispetto a quelle dove non si pratica questa coltura. Il report calcola una differenza di 6,5 volte minore.

Il turismo del vino: un settore ad alto potenziale

La voce economica legata al turismo del vino è certamente tra le più interessanti in termini di potenzialità, considerando gli ampi margini di crescita presenti soprattutto in Italia, dove da qualche anno a questa parte molte più aziende rispetto al passato si stanno attrezzando con un’offerta in termini di ricettività (non solo visite e degustazioni) di livello superiore e pensata per il proprio specifico target di consumatori. Nel 2022 circa 36 milioni di persone si sono spostate per vivere esperienze legate al mondo del vino: hanno generato 1,1 miliardi di euro solo nel segmento relativo alle visite in cantina; mentre in totale, considerando anche tutte le altre voci (ospitalità, trasporti, etc) si arriva a un giro di affari calcolato intorno ai 15 miliardi di euro.

Investimenti in ricerca, sviluppo e sostenibilità

Sono tutti dati positivi ma che, per essere non solo mantenuti, ma anche migliorati hanno certamente bisogno di politiche di ampio respiro e di una visione strategica di lunga, se non lunghissima, gittata. Gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte dell’intera filiera del vino nel 2022 hanno contribuito con più di 1,1 miliardi di euro a livello europeo a generare benefici in molti settori, come quello dei servizi tecnici e scientifici, della produzione e delle telecomunicazione.
Ma c’è il tema della sostenibilità, che al di là dei proclami e delle operazioni di greenwashing, è vitale e tiene in piedi tutto il movimento. Il Green Deal dell’Unione europea evidenzia la necessità di una transizione verso un’agricoltura che riduca al minimo l’impatto ambientale. Il mondo del vino, ad esempio, sta lentamente diminuendo il peso delle bottiglie di vetro: passando da una media di 550 grammi a meno di 420 entro il 2026 si otterrebbe una riduzione del 25% delle emissioni di CO2 prodotte da questo settore.
Preservare l’ambiente nel quale viviamo, considerando che le principali minacce al vino arrivano dal cambiamento climatico in atto (alterazione delle fasi fenologiche, mutamenti degli equilibri della vite, varietà tipiche che soffrono, spostamento delle posizioni geografiche classiche, effetti negativi delle ondate di calore o delle improvvise tempeste), non è può più essere considerato un aspetto secondario.

Foto di apertura: © wildlittlethingsphoto – Pexels

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© Riproduzione riservata - 08/05/2024

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