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Maculan: una lezione di vita dal nuovo Prato di Canzio

Maculan: una lezione di vita  dal nuovo Prato di Canzio

Un vino ritrovato, una bella lezione. L’oggetto del nostro racconto ha anche un nome particolare: Prato di Canzio. Allude all’antico nome di Breganze, borgo di probabile origine romana, praedium Cantii, podere di Cantius, secondo la leggenda un veterano di Gaio Mario, soldato e console.

Oggi il nostro anfitrione, invece, si chiama Fausto Maculan, e non gli manca il certo il piglio del generale. Le figlie Maria Vittoria e Angela lo affiancano abilmente, la prima con competenza tecnica e l’altra commerciale. Una bella fortuna per Fausto Maculan, che come un torrente in piena accompagna la spiegazione di un vino con pezzi di storia dell’enologia italiana, rendendo questo evento un momento di riflessione importante.

Prato di Canzio, il vino ritrovato

Dunque, trattasi di un vino ritrovato. Ciò significa che Prato di Canzio era esistito dalla prima annata 1978 sino al 1996 e ora riparte dall’annata 2017 (in uscita in questi giorni). Ma perché sospenderne la produzione? «Era arrivato il momento dei monovarietali, specialmente bianchi, e questo era un blend…», spiega Fausto Maculan. Era, e finalmente è tornato a essere un grande bianco, ideato per lunghissimi invecchiamenti, come dimostra l’assaggio. Abbiamo nel calice tre annate, 1981, 1987 e l’ultima uscita 2017. Il più anziano è il migliore, ricco di aromi (erba e fiori di montagna, mandorla, mandarino, nemmeno un cenno di ossidazione, legno ormai sublimato),  setoso al palato, ottima persistenza. Grandioso anche il successivo, 30 anni precisi. Il giovane è pura potenza aristotelica: per volgersi in atto dovrà affidarsi a pazienti cultori della materia, che lo conservino almeno 5-10 anni in condizioni ideali per poterne cogliere i più interessanti risvolti.

maculan prato di canzio
La bottiglia di Prato di Canzio 1981 Maculan

Profumi ed emozioni della versione giovane

Beninteso, se una griffe dell’enologia decide di presentare un vino al mercato, questo è già interessante ed equilibrato, ma qui ci troviamo dinnanzi a tale piacevole intrigo – di matrice vicentina, potremmo dire, delicato e sornione in attesa di svelarsi senza ritegno – che vale davvero la pena di dimenticare la bottiglia in cantina. In ogni modo, in versione giovanile il Prato di Canzio è un concerto di agrume, mela, pompelmo, su sostrato di vaniglia, con grande assonanza olfattiva e gustativa, dove al palato si ritrovano spezie, polpa di frutta bianca e nota fumé finale. In questa fase sono ancora riconoscibili i vitigni d’origine: Chardonnay (50%), Vespaiola (30%) e Sauvignon (20%). Come sempre, nel tempo le espressioni varietali si fanno sempre più discrete lasciando lo spazio al terroir.

Le tre annate in degustazione

La lezione di vita di Fausto Maculan

Fausto Maculan è maestro, come racconta con la solita ironia: «La mia prima vendemmia risale al 1973. Entrai in azienda con la baldanza dei giovani e chiesi a mio padre di licenziare l’enologo, perché io mi ero diplomato enologo e potevo prendere in mano la situazione. All’epoca facevamo solo blend, un bianco e un rosso, andavano anche bene, ma io guardavo ai grandi esempi dell’enologia mondiale. Nel 1974 non vendemmo una bottiglia. Credevo di aver sbagliato etichette, quindi le cambiai. Nel 1975 ancora niente. Allora pensai che mancasse una valida comunicazione, Mi rivolsi ai migliori professionisti, come il grande Lino Manfrotto, per innalzare l’immagine aziendale. Ci impegnammo nella comunicazione, compresa la pubblicità su una delle prime radio libere italiane …  niente di niente. Beh… ci ho messo un po’… ma alla fine ho capito che forse il vino non era poi così buono!».

Massimiliano Alajmo e Fausto Maculan

Un ritorno in grande stile

Tornando al Prato di Canzio, che assaggiamo in compagnia dei piatti armonici di Massimiliano Alajmo, tre stelle Michelin (su tutti il Pomo d’oro, sublime variazione di ortaggi e cotture , e il Risotto di limone nero, capperi e caffè, dalle infinite sensazioni gustative), è un grande bianco d’assemblaggio (a freddo, cioè con taglio di vini finiti), che ha dovuto cedere il passo ai diktat del mercati internazionali (quando negli Usa specialmente non avresti venduto senza sbandierare un vitigno riconoscibile in etichetta), e adesso ritorna in gloria, come bianco ammiraglia dei Maculan, da suoli vulcanici e tufacei, con parziale affinamento in barrique di rovere francese (solo lo Chardonnay, in contenitori in parte nuovi e in parte no).

Il Pomo d’oro di Massimiliano Alajmo

Il tocco femminile nella presenza della Vespaiola

Poche bottiglie (circa 1.500), per intenditori che hanno il desiderio di andare oltre i luoghi comuni e che vi sapranno cogliere il desiderio di esprimere il territorio, accentuato dal contributo locale della Vespaiola (che è poi l’uva che dà origine allo straordinario Torcolato). Una curiosità: l’ingresso, in percentuale sensibile, della Vespaiola rappresenta il tocco contemporaneo (pur nella sua storicità…) e la vittoria della nuova generazione, Maria Vittoria e Angela, che l’hanno fermamente voluta. Chapeau!

Risotto di limone nero, capperi e caffè

I vini del pranzo curato da Massimiliano Alajmo

Accanto al “Prato”, la famiglia ha portato in assaggio un altro vino del nuovo corso, il  Valvolpara 2018.È una selezione di Vespaiola (le cui barbatelle sono state prodotte da VCR espressamente per i Maculan), che viene lasciata in appassimento per 10 giorni. Segue macerazione pre-fermentativa a freddo per 4 giorni a 5 gradi, pratica che estrae una straordinaria palette aromatica, che viaggia dalla mela rossa, alla banana flambé, al timo fino alle erbe di montagna, con grande concentrazione in bocca, struttura, notevole persistenza, e  un accattivante tocco finale di mango e passion fruit. Nel prosieguo dell’incontro, all’Agnello scottato de Le Calandre è stato accostato Fratta 2016 (Cabernet Sauvignon 73%, Merlot 27%), preciso, aggraziato nello stile vicentino che dicevamo, delicato e sornione, si svela col tempo. Infine, per il matrimonio con il Confetto cassata con crema di pistacchi all’acqua, è stato scelto Acini Nobili 2012, da uve colpite da muffa nobile (botrytis cinerea), un fuori classe che ricorda l’abicocca, il timo, la marmellata arance, al palato conserva ottima freschezza e conclude con una nota leggermente amaricante e miele castagno.

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© Riproduzione riservata - 09/09/2019

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