L’ossimoro del Casavecchia, potente e beverino
«Il termine “archeologia vitivinicola” è ben riferibile al Casavecchia», sottolinea Alberto Barletta fondatore di Vestini Campagnano di Caiazzo (Caserta). «Secondo alcuni infatti esso potrebbe essere il vitigno dal quale i Romani ottenevano il famoso Trebulanum, tra i pregiati nettari della Campania Felix.
L’unica certezza è che il suo ritrovamento e la prima vinificazione, con uve tratte da un ceppo ritrovato al principio del XX secolo presso un rudere romano, fu dovuta a un contadino di Pontelatone. Tale vitigno si diffuse subito in zona, traducendosi in un vino ossimorico: potente e beverino. Tra gli indigeni si diffuse il concetto che per avere un buon nettare bisognava vendemmiare l’uva della “casa vecchia” (il rudere).
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Potente e speziato nella versione di Vestini Campagnano
Da qui il nome della bacca, coltivata in un preciso areale oggi pertinente alla Doc Casavecchia di Pontelatone. Il Casavecchia di Vestini Campagnano, prodotto dopo un iniziale scetticismo dell’azienda verso la qualità di quest’uva, smentito dai fatti, affina per almeno 16 mesi in barrique (che ricorda i caratelli campani); ne scaturisce un nettare originale, potente al naso, dalla texture tannica serrata, con sentori di spezie orientali e more.
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© Riproduzione riservata - 03/09/2019