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La Doc Cirò Rosso e Rosato si fa internazionale

6 Ottobre 2010 Civiltà del bere
Integralisti o riformatori? Tradizionalisti o innovatori? Rigido attaccamento alle risorse più antiche del territorio o moderata apertura anche a possibili sperimentazioni? In Calabria si è consumato un confronto a più voci, che in verità ha coinvolto soprattutto gli addetti ai lavori, sull’ormai quasi definitiva ipotesi di modifica del disciplinare che governa il Cirò Doc Rosso e Rosato. Siamo di fronte all’area a più alta vocazione vitivinicola della regione, che garantisce circa l’80% del totale di etichette Doc. I dati Istat aggiornati al 2009 parlano di una produzione complessiva calabrese di vini a Denominazione di origine controllata (sono in tutto 12) pari a 65.782 ettolitri, su un totale di oltre 15 milioni a livello nazionale. Una frazione modesta, che si attesta allo 0,44% del valore riferito all’intera Penisola. I dati forniti da Federdoc si discostano da quelli dell’Istituto di statistica in termini quantitativi, segnalando livelli più bassi di produzione, ma rimangono quasi analoghi sul piano delle proporzioni. Una vera e propria nicchia, quindi, tanto da far sostenere ad alcuni dei maggiori esperti che la strada della tipicità, della particolarità, della promozione e valorizzazione dei terroir è di fatto obbligata. Il 29 luglio del 2009 il Consorzio di tutela e valorizzazione dei vini Doc Cirò e Melissa aveva presentato al Dipartimento agricoltura e foreste della Regione Calabria una richiesta di modifica del disciplinare di produzione dei vini Cirò Doc. Si prevedeva di utilizzare facoltativamente, per il Cirò Rosso e Rosato, un 20% di uvaggio aggiuntivo al Gaglioppo, rispetto al più restrittivo 5% consentito dalla normativa ancora vigente, e peraltro limitato solo ai vitigni Trebbiano toscano e Greco bianco. In buona sostanza si chiedeva di poter superare il concetto che di fatto impone la lavorazione in purezza del Gaglioppo, aprendo le porte ai diversi vitigni a bacca nera considerati idonei alla coltivazione in Calabria, elencati in una tabella approvata dalla Giunta regionale nel 2007 (tra questi, ad esempio, Greco nero, Magliocco Canino, Nerello Cappuccio, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Sangiovese…). Nella lettera ufficiale trasmessa dal Dipartimento agricoltura e foreste regionale al ministero competente e al Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle DO e IG dei vini, contenente il parere di competenza, si spiega che rispetto a questa prima ipotesi di modifica, che “poteva dare atto ad interpretazioni discorsive rispetto alle garanzie del legame con il territorio”, si è proceduto a una seconda elaborazione. Dopo una serie di incontri, infatti, si è approdati a una nuova proposta, approvata all’unanimità dal Consorzio di tutela, tale da “legare ulteriormente al territorio il vino Cirò Doc” e presentata ufficialmente il 26 aprile di quest’anno. La percentuale di Gaglioppo resta fissata all’80% minimo, potendo completare l’uvaggio con “uve a bacca nera provenienti dalle varietà idonee alla coltivazione nella regione Calabria da sole o congiuntamente fino ad un massimo del 20% ad esclusione delle varietà Barbera, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Sangiovese, Merlot, che possono concorrere fino ad un massimo del 50% al suddetto 20%”. In buona sostanza si limita l’uso dei vitigni internazionali al 10%, consentendo una quantità analoga di altri vitigni autoctoni calabresi quali il Greco nero, il Magliocco Canino, il Nerello Cappuccio, il Calabrese. Questa proposta è stata varata dal Comitato nazionale vini e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 12 agosto scorso. Allo stato pendono alcuni ricorsi. Resta invariato il disciplinare relativo al Cirò Doc Bianco (Greco bianco al 90% e un massimo del 10% di Trebbiano toscano). Nel corso del dibattito che ha preceduto le deliberazioni finali, sono emersi atteggiamenti che potremmo definire “ortodossi”, e cioè ispirati dalla volontà di confermare il vecchio disciplinare e quindi la vinificazione in purezza del Gaglioppo, oppure posizioni volte alla contenutissima apertura a vitigni autoctoni a bacca nera del Cirotano, quali il Magliocco e il Greco nero. Può essere interessante ricordare che diverse etichette calabresi, anche abbastanza note e apprezzate, presentano uvaggi composti, in diverse proporzioni, da Gaglioppo e varietà a bacca rossa internazionali. L’affermato Gravello Igt Val di Neto Rosso delle Cantine Librandi di Cirò Marina (Crotone), con Gaglioppo al 60% e Cabernet Sauvignon al 40%; l’Arvino Igt Calabria Rosso delle Cantine Statti di Lamezia Terme (Catanzaro), uvaggio di Gaglioppo e Cabernet Sauvignon, così come il Petraro Igt Val di Neto Rosso delle Cantine Ceraudo di Strongoli (Crotone), e ancora I Mori delle Cantine Ippolito 1845 di Cirò Marina. Ma il vitigno autoctono calabrese per eccellenza, presente in tutte le 12 Doc della regione, viene proposto anche con l’altra famosa varietà bordolese, con l’etichetta denominata appunto Gaglioppo Merlot delle Cantine Senatore di Cirò Marina. Quelli del Cirotano sono vini antichissimi, che affondano le loro radici nella Magna Grecia, e il Gaglioppo è un vitigno autoctono che merita la massima attenzione per la sua forza e per una non comune capacità, se ben allevato in vigna, di offrire sensazioni particolari e uniche. Più delle regole e dei disciplinari, comunque necessari, per far affermare in Italia e nel mondo le più importanti etichette calabresi serviranno potenti azioni di marketing e di comunicazione.

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