Il vino è una delle prime vittime nelle guerre commerciali. Capiamo perché
Nelle dispute tra stati, i dazi commerciali tendono subito a colpire l’industria vinicola. Perché? Uno studio condotto negli Usa ha provato a capirlo. Tra i motivi la forte dipendenza dall’export e la produzione localizzata, che consente di colpire i bersagli con precisione chirurgica.
Nell’infinito bombardamento di notizie e immagini che provengono dalla guerra tra Ucraina e Russia, particolarmente eloquenti sono state, per chi segue il mondo enologico, le foto di locali di Mosca che esponevano il cartello “vino esaurito”. Un mese dopo l’invasione i conti per l’industria italiana del settore apparivano già poco rassicuranti. Il Nomisma Wine Monitor segnalava come la Russia avesse importato nel 2021 vino italiano per 345 milioni di euro, con una crescita del +18% rispetto all’anno precedente. Valore destinato praticamente ad azzerarsi nel 2022, con danni soprattutto per alcune denominazioni. Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor segnalava che «nel caso dell’Asti Spumante parliamo della potenziale perdita di un quarto dell’export; così come il del 20% delle vendite oltre frontiera di spumanti generici italiani o del 13% di vini frizzanti».
Bersaglio prediletto
Al di là di questi dati, che solo una difficile ricomposizione della scena internazionale potrà riportare alla normalità, emerge per l’ennesima volta dalla guerra in Ucraina un fatto molto chiaro: nei momenti di conflitto, in cui l’ostilità tra Paesi si concretizza anche in sanzioni ecnomiche, il vino è costantemente uno dei prodotti che subisce le maggiori conseguenze. Perché? Hanno analizzato il caso tre studiosi statunitensi, William Ridley dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, Jeff Luckstead della Washington State University e Stephen Devadoss, della Texas Tech University. Il trio ha pubblicato un articolo, sul numero di maggio della rivista “Food Policy”, dal titolo “Wine: The punching bag in trade retaliation” (vino, il sacco da boxe nelle ritorsioni commerciali).
Ogni anno danni enormi
In che cosa consiste la loro analisi? «Il vino», scrivono gli autori, «è un prodotto scambiato in modo estensivo nel mondo che diventa un abituale bersaglio nelle ritorsioni durante le dispute commerciali. Abbiamo analizzato l’impatto delle sanzioni e delle ritorsioni stimando un modello per il commercio globale del vino e poi abbiamo simulato gli effetti di queste misure, in confronto a una situazione ipotetica di totale liberalizzazione, per valutare l’impatto sul volume degli scambi e sulla salute del commercio internazionale del vino. Abbiamo così appurato che le recenti dispute commerciali minacciano di ridurre il commercio del vino di circa 340 milioni di dollari ogni anno, oltre a incidere significativamente sul benessere del consumatore. Al contrario una liberalizzazione totale porterebbe a un’espansione del commercio di circa 76 milioni di dollari».
Tensioni frequenti
Colpisce innanzi tutto il fatto che i danni stimati dallo studio equivalgano in pratica all’intero volume dei commerci italiani con la Russia. Ma al di là di questa osservazione, che è una pura coincidenza perché lo studio riguarda guerre commerciali precedenti, emerge come il vino sia spesso una vittima sacrificale nelle guerre commerciali. Tra il 2018 e il 2020 gli studiosi hanno individuato cinque situazioni di tensione, riportate nella tabella, in cui per tre volte gli Usa si sono trovati in contrasto con Paesi europei, in particolare Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, e in cui per due volte la Cina ha applicato tariffe, ai vini australiani (dallo 0% al 212%) e a quelli statunitensi (dal 14% al 25%).
I motivi della vulnerabilità
Ci sono motivi ben precisi se il vino diventa subito oggetto di sanzioni e controsanzioni. Innanzi tutto, osservano gli autori, è un’industria fortemente dipendente dall’esportazione, che quindi viene particolarmente colpita da queste misure. Inoltre la sua produzione è ben localizzata a livello geografico, quindi rende le sanzioni più efficaci. Non solo. Il vino è anche un prodotto che in molte aree del mondo è colpito da dazi più elevati rispetto alla media, per tutta una serie di motivi legati sia ai supposti impatti sulla salute sia di ordine religioso. I dazi, tra l’altro, producono anche un danno ulteriore; infatti il consumatore, non trovando i prodotti che predilige sul mercato, tende a non sostituirli completamente e a cercare alternative di altro tipo. Quindi il commercio di vino viene ulteriormente depresso.
Equilibrismi italiani
In tutto questo, un altro aspetto curioso emerso dalla guerra dei dazi tra Stati Uniti e alcuni Paesi europei tra il 2019 e il 2020 è che l’export italiano ne ha beneficiato. Le tariffe Usa hanno colpito Francia, Spagna e Germania per circa 250 milioni di dollari, ma non noi. Così l’export di vino italiano negli Usa è cresciuto di 60 milioni di dollari. Un motivo per cantare vittoria? Non del tutto. Il meccanismo delle sanzioni dimostra di essere davvero dannoso per le economie del vino colpite. Quando il bersaglio diventiamo noi il prezzo da pagare può essere molto alto.
Foto di apertura: nei momenti di conflitto il vino è uno dei prodotti che subisce le maggiori conseguenze © fl8gBcnfWJU- Unsplash
Tag: dazi, export, vino© Riproduzione riservata - 24/05/2022