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Il valore del tempo

Il valore del tempo

(Anteprima da Civiltà del bere – luglio 2010) Il Grande vino, per essere apprezzato, richiede anni e un pizzico di conoscenza. La scorsa primavera il giornalista Fabrizio Penna, con la sua Enotime, ha proposto cinque incontri per avvicinare il pubblico alla gioia del vino invecchiato, prelevando le bottiglie dalla sua cantina e selezionando esempi quasi didattici di alcune fondamentali denominazioni italiane. Li abbiamo seguiti per voi (e un po’ per noi).

brunello - verticale enotimeBrunello
Quattro annate da 5 stelle e due da 4, un’efficace selezione, quasi educativa, degli stili che presenta uno dei più mitici vini italiani ha aperto gli incontri organizzati da Fabrizio Penna intitolati “Le bottiglie introvabili di Enotime”. Passeggiare nel tempo è il modo migliore per comprendere il Brunello, così di moda in questi anni da essere bevuto spesso in eccesso di gioventù. Invero il valore dell’iniziativa di Enotime, oltre a offrire pezzi rari, stava proprio nell’opportunità di capire vini concepiti per lunga vita che sono sempre più spesso sacrificati alle leggi del mercato, forzati dai suggerimenti delle Guide enologiche e talvolta dei produttori stessi che spingono l’ultima annata in commercio. La verticale di Brunello di Montalcino Docg è iniziata con l’emblema della nouvelle vague, Castello Banfi, e con il suo Poggio alle Mura 2001. A seguire il 1997 di Campogiovanni e il 1991 di Caparzo. Il ventunenne Greppone Mazzi 1988 segna il passaggio deciso alla fase evoluta del Brunello, con abbondanza di profumi terziari. Della Tenuta Col d’Orcia assaggiamo il 1985, esempio di ottima conservazione con profumi di frutta secca, noce, fico, chiodo di garofano, tabacco… in bocca alcol, acidità e tannini sono ben bilanciati. Si chiude, però, con l’origine del Brunello e ci tremano un po’ le ginocchia come al Soldati di Vino al Vino. Riserva Biondi Santi 1970, da vigne con almeno 25 anni di vita, una rincorsa di sensazioni al naso, prima da fermo e poi roteando il bicchiere; in bocca non è mai prepotente, è sempre elegante, deciso e soprattutto molto persistente. Di certo meno “morbido” degli altri, un po’ irruento in alcuni momenti, assolutamente carismatico. Penna chiude con un’osservazione che condividiamo: «Troviamo nel vino la personalità di Franco Biondi Santi».

chianti - verticale enotimeChianti Classico
L a verticale di Chianti Classico Docg è cominciata con l’annata 2003 del Villa Nozzole di Ambrogio e Giovanni Folonari per risalire indietro nel tempo fino alla Riserva 1968 di Badia a Coltibuono. Le aziende produttrici erano, oltre alle già citate, Castello di Brolio con l’annata 1999, Fattoria Machiavelli (Gruppo Italiano Vini), Agricola San Felice e Castello di Monsanto, rispettivamente con le Riserve 1997, 1985 e 1982. Di ogni Chianti Classico è stato interessante apprezzare, oltre all’evoluzione nel tempo, anche le espressioni dei diversi uvaggi: dai Sangiovese in purezza a quelli che contemplavano l’aggiunta dell’autoctono Colorino o degli internazionali Merlot e Cabernet Sauvignon, senza tralasciare la Riserva 1968 di Badia a Coltibuono che prevedeva anche Trebbiano toscano e Malvasia, uve che oggi non possono più essere utilizzate. In quest’ultimo caso si tratta di un Chianti veramente particolare che ha ottenuto la medaglia d’oro a Bordeaux nel 1981, vinificato in tini di legno e invecchiato 10 anni in botti di castagno ma che conserva ancora la sua freschezza e acidità. Ma il Chianti che ha rivelato più equilibrio e completezza, raccogliendo numerosi consensi tra i presenti, è stato il Vigna Fontalle 1997 di Fattoria Machiavelli, con i suoi tannini fini ed eleganti e l’acidità lieve. Sangiovese 100% maturato per metà in barrique di rovere americano del Minnesota e per metà in botti di rovere francese, al naso presentava le note tipiche di confettura di frutta rossa, dei fiori dell’iris e del giaggiolo, e di spezie, oltre al cocco dato dal legno americano. Curiosità: la bottiglia assaggiata, come specificato in retroetichetta, è nata proprio dai filari potati all’epoca da Fabrizio Penna.

nobile - verticale enotimeNobile di Montepulciano
Quando divenne Docg, tra i primi in Italia, questo vino in realtà era conosciuto da pochi e consentiva a disciplinare alcune “libertà”, come l’impiego in minime percentuali di uve bianche, decisamente strane per un prodotto destinato al lungo invecchiamento. Da allora, era il 1980, di tempo ne è passato e le Cantine hanno saputo perseguire un percorso d’eccellenza. Ma i Nobili di annate antiche risentono ancora oggi di un modo di produrre vino che anche solo tre decenni fa era distante anni luce da quello attuale. La verticale del 10 marzo ha mostrato queste differenze, partendo da I Quadri 2004 dell’azienda agricola Bindella, proprietà di uno svizzero tedesco con un’importante attività nella ristorazione nel proprio Paese. È seguito poi Il Salco 2000 de Il Salcheto, anch’esso come il precedente al 100% Prugnolo gentile. Andando indietro nel tempo tutti gli altri vini degustati hanno associato al vitigno principale, il Prugnolo gentile appunto (il Sangiovese, come lo si chiama da queste parti), altre varietà. Il Pasiteo 1997 di Fassati ha un 5% tra Colorino e Mammolo; il Vigna Asinone 1996 di Poliziano ha un 10% tra Colorino e Merlot. Il 1989 di Lodola Nuova è stato invece assemblato con un 20% tra Colorino, Merlot e Cabernet Sauvignon. Infine, ed è stata l’etichetta più sorprendente, il Nobile 1983 di Avignonesi ha affascinato tutti i presenti per il profumo di tabacchi e il gusto fine, pulito, elegante, con note di amarena e prugne sottospirito. Frutto di un blend tra l’85% di Prugnolo gentile, il 10% di Colorino e il 5% di Mammolo, pur avendo perso un po’ di struttura, ha offerto una straordinaria dimostrazione delle capacità di invecchiamento che può avere il Vino Nobile di Montepulciano.

barbaresco - verticale enotimeBarbaresco
La classe di un langarolo di razza. Se la chiusura del ciclo di verticali spetterà al Barolo, il Barbaresco introduce il discorso Nebbiolo, ossia i pregi della maturità. Il vitigno infatti dà il meglio di sé con l’età, soprattutto in bocca, dimostrandosi un ideale compagno per grandi pasti. Domizio Cavazza, “padre del Barbaresco”, direttore della Regia Scuola Enologica di Alba, specificò in una Ode in suo onore: “in te si correggono le austere doti del tuo maggior fratello… a te non son misurati i calici, come convensi ai pesanti e capitosi tuoi rivali; a te ogni ora è propizia ed ogni vivanda buona compagnia”. Si aprono le danze con il Cru Vigneto Bric Ronchi 2001 di Albino Rocca, seguono due scuole, quella dei Produttori del Barbaresco (Pora 1997), ottima Cantina sociale che gestisce 100 dei 600 ettari totali di Barbaresco, e quella di Pio Cesare, con Il Bricco 1990, prodotto solo in alcune annate, quelle giuste. Ha 27 anni il Camp Gros de La Martinenga dei Marchesi di Gresy (tenuta di proprietà della famiglia dal 1797) e si apprezza dopo l’ossigenazione nel calice il passaggio dai profumi di sottobosco a quelli di frutta sottospirito. Ci avviamo al finale con l’attesa bottiglia del Barbaresco 1982 di Gaja, la griffe che ha reso questo vino celebre nel mondo. Il tempo per lui non è un problema, è una virtù. I profumi sono terziari, si coglie anche una nota di ceralacca. Nel bicchiere evolve positivamente e finisce mostrando la sua rotondità, sospinta da un vivissimo tannino. In chiusura la sorpresa della Riserva Montestefano 1978 di Prunotto. Già le note olfattive stupiscono, da vino più giovane, ancora portatore di fiori, erbe, poi emergono i tabacchi, il cuoio, il fumé. In bocca i tannini sono ancora gagliardi, quasi impertinenti. Sorprenderà e ci farà gioire anche a 40 anni, questo scalpitante Nebbiolo.

barolo - verticale enotimeBarolo
La degustazione che ha concluso la sfilata di verticali d’élite proposta da Enotime è stata dedicata al Barolo, il primo tra i vini italiani ad assurgere a una dimensione internazionale, già poco dopo la metà dell’Ottocento. L’area di produzione si divide in due zone: il comprensorio intorno a La Morra, tra Verduno e Castiglione Falletto regala vini più delicati, mentre tutta la fascia tra Castiglione Falletto e Monforte si caratterizza per Baroli molto più forti di tannini e spigolosi. La diversità è dovuta alla conformazione geologica del territorio, tanto che per questo vino, per la prima volta in Italia, sono state “scientificamente” individuate ben 180 sottozone. Ma il mondo di questo grande vino non si differenzia solo per il territorio. Anche i produttori si sono orientati in due scuole di pensiero: i tradizionalisti hanno conservato l’abitudine della botte di grandi dimensioni, i modernisti sono più favorevoli a macerazioni brevi e alla fermentazione in barrique. Nella serata sono stati degustati sei vini, gli ultimi due da due bottiglie diverse, che hanno mostrato lievi differenze anche tra loro: il 2004 di Boroli, dalla zona di Castiglione Falletto, il Monvigliero 1996 di Fratelli Alessandria, da Verduno, l’Ornato 1989 di Pio Cesare, da Serralunga d’Alba, il 1985 di Vajra, viticoltore di Barolo. E poi è stata la volta del Rocche di La Morra 1983 di Rocche Costamagna e del Riserva Bussia 1978 di Prunotto, straordinariamente prodigo di sensazioni. È stato questo vino a impressionare di più, anche per la sua longevità di oltre trent’anni. È un Barolo di Monforte, con note di carruba, marmellata di marroni, foglie di sottobosco, mallo di noce e con sentori di spezie. Al gusto ha rivelato ancora chiari tannini, ma non aggressivi, e un sapore persistente. Berlo è stata un’esperienza davvero emozionante.

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© Riproduzione riservata - 24/06/2010

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