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Il Premio Vino del Terriccio ad Angela Nanetti

17 Giugno 2015 Roger Sesto
Divulgare la storia narrandola con rigore, questa è la sfida da affrontare. Nelle giornate di venerdì 12 e sabato 13 giugno a Castello del Terriccio si è svolta la prima edizione del Premio Vino del Terriccio, concorso letterario italiano dedicato al miglior romanzo storico dell'anno. Un evento fortemente voluto da Gian Annibale Rossi di Medelana, titolare dell'immensa tenuta - 1.700 ettari - al limite settentrionale della Maremma e presidente della manifestazione. La giuria, composta dal giornalista e saggista Paolo Mieli, dal ricercatore storico Niccolò Capponi, dal docente di storia medievale presso l'Università degli Studi di Urbino Tommaso di Carpegna Falconieri, ha decretato vincitrice Angela Nanetti, già scrittrice di narrativa per l'infanzia e da qualche anno impegnata nella difficilissima arte del romanzo storico, che ha dedicato il riconoscimento al compianto compagno di vita.

Vince Il bambino di Budrio, dalle rispettose caratterizzazioni psicologiche

Fra i tre libri finalisti, è il suo Il bambino di Budrio - edito da Neri Pozza - ad aggiudicarsi il premio di 20 mila euro e la jéroboam di Lupicaia 2005, etichetta di punta della Casa toscana. Romanzo che racconta la tragica storia (vera) di un bimbo prodigio di cinque anni, scoperto da un frate, nell'Italia del Seicento, sballottato fra dispute teologico-sapienziali e sospetti di demoniache presenze, sullo sfondo dell'onnipresente Santa Inquisizione. Tornato nella sua Budrio, il bambino rimuove questa sua traumatica esperienza, fugge dal convento e, derubato della sua infanzia, si riunisce ai genitori di mestiere garzaioli, per una esistenza poverissima e tetra. Un testo molto apprezzato per la raffinatezza della prosa, per il magistrale sviluppo di un piccolo spunto storico, per la coerenza tra caratterizzazione psicologica dei personaggi e il contesto storico di riferimento, che non rende però il narrato distaccato dal pensiero moderno, creando viceversa un'affascinante liaison con quest'ultimo.

In finale La dama nera: rivoluzionaria, non femminista

Non vanno dimenticati gli altri due finalisti: Sally O’Reilly con La dama nera (Sonzogno) e Pierluigi Panza con L’inventore della dimenticanza (Bompiani). Nel romanzo di O’Reilly si narra l’avvincente vicenda della poetessa Aemilia Bassano che sarebbe stata l’amante di Shakespeare. «Una figura anomala all’epoca» ha spiegato l’autrice «che emerge e addirittura pubblica avvolta in un contesto magico». Una dark lady che in qualche modo ridimensiona la deificata figura shakespeariana, donna rivoluzionaria e oltraggiosa, ma non anacronisticamente dipinta dall'autrice come figura femminista, un tranello che la O'Reilly evita con sapienza. Come infatti sottolineano i giurati, il romanzo storico è di grande aiuto alla comprensione del nostro passato e alla sua divulgazione, a patto che la fantasia non violenti la storia e che non vi siano attualizzazioni forzate, ridicolmente anacronistiche.

L’inventore della dimenticanza. L'oblio per ricordare

Quello di Pierluigi Panza è invece una sorta di thriller: alla vigilia della Guerra dei Trent'anni un medico tedesco - Adam Brux - insegue un sogno: inventare una tecnica di memoria che spinga all’estremo le potenzialità della mente. Ma presto l'uomo si rende conto che conservare tutti i ricordi è una condanna troppo pesante, perciò decide di scrivere, spiega Panza «per la prima volta un trattato sull’arte dell’oblio». Un canovaccio narrativo che suona incredibilmente moderno, nella nostra era digitale in cui tutto (e quindi nulla) viene memorizzato. Un romanzo evidentemente molto piaciuto a Paolo Mieli, che dedica quasi tutto il suo intervento conclusivo dissertando di memoria e oblio: «Sono due aspetti intrecciati, non esiste la prima senza il secondo», chiudendo con una splendida ed evocativa esegesi dell'omerica «Odissea». La verticale di Lupicaia. 2010 e 2004, i due estremi vicini per stile A margine dell'assegnazione del Premio, si è tenuta una sontuosa verticale di sei annate di Lupicaia – variabile blend, frutto di più vigne, di Cabernet Sauvignon in prevalenza, con un tocco significativo di Merlot e Petit Verdot - tra le più interessanti della sua storia, che nasce ufficialmente con la vendemmia 1993. Il campione mondiale di sommellerie Luca Gardini ha presentato a un ristretto gruppo di addetti ai lavori il carattere dei vari millesimi, che hanno spiccato per la loro eterogenea ma sempre affascinante personalità. La 2004, l'etichetta anagraficamente più matura in degustazione, è parsa ancora molto giovane, schioppettante, raffinata, complessa, di elegante mineralità e agrumata freschezza, cioccolatosa al naso. Il 2006 è disteso, setoso, con evidente note terziarie goudron e di sottobosco, da accogliere oggi. Il 2007, ancora diverso, è potente, concentrato, materico, più sapido che fresco, più californiano che bordolese. Il 2008, austero al naso con le sue note di sigaro, è fresco, elegante e persistente, più che potente, fascinosamente rarefatto. Il 2009 è il più singolare, dalle note di eucalipto, balsamo, mentuccia, dalla fitta trama tannica dolce e matura, gradevolmente tostato e di grande persistenza. Infine il 2010, nettare dal grande futuro e dall'ammiccante presente: stilizzato al naso, che sa di cacao, fiori secchi e agrumi, ha beva già armonica ma croccante e pungente, con progressione alla grafite e finale liquirizioso: molto bordolese.   In foto: al centro, Gian Annibale Rossi di Medelana con il giornalista Paolo Mieli e la vincitrice Angela Nanetti (seconda da sinistra)

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