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Grignolino Monferace: una Riserva che sorprende

Grignolino Monferace: una Riserva che sorprende

                                                                                                                                                              di Cesare Pillon

Ermanno Accornero, vignaiolo di Vignale Monferrato, la racconta così: il Bricco del Bosco Vigne Vecchie è un Grignolino che lui aveva deciso di far maturare più a lungo di Barolo e Barbaresco: quattro anni, almeno metà dei quali in legno. Lo realizzò la prima volta con le uve della vendemmia 2006 e lo fece esordire a Vinitaly 2011: «Lo presentai senza etichetta e così alla cieca lo feci assaggiare al più importante dei miei importatori. Per anni avevo cercato di vendergli il Grignolino giovane: mai riuscito a convincerlo a prenderne una bottiglia. Quella volta mi comprò quasi tutte quelle che avevo prodotto. Compresi che avevo fatto centro». Oggi, dopo aver collezionato riconoscimenti, il Bricco del Bosco Vigne Vecchie si vende in enoteca intorno ai 35 euro la bottiglia, mentre il prezzo del Grignolino giovane raramente supera la soglia dei 10.

Una nuova associazione per il rilancio di immagine

Anche se nessuno degli interessati lo ammetterà mai, il valore aggiunto dall’iniziativa di Accornero ha avuto un ruolo tutt’altro che irrilevante nel convincere nove produttori a unirsi a lui in un’associazione il cui obiettivo è far riscoprire questo vino, oggi sottovalutato dal mercato, nelle insolite vesti di vino longevo, da grande invecchiamento. La loro convinzione è che il Grignolino, che in passato era considerato un rosso di prestigio e spuntava quotazioni più alte del Barbera, abbia la longevità iscritta nel Dna: se ha subito negli ultimi decenni una perdita d’immagine è perché troppi produttori e per troppo tempo lo hanno interpretato come un vino leggero da bere giovane, e questo ha spinto a pretendere dalle vigne rese di uva alte, che ne hanno pregiudicato la qualità.

Longevità e lunghi affinamenti: il Grignolino Monferace

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Guido Carlo Alleva di Tenuta Santa Caterina

Il vino che il loro sodalizio intende produrre si chiamerà Monferace, sarà un Grignolino in purezza e verrà messo in commercio dopo 40 mesi di affinamento di cui almeno 24 in botti di legno. «Dovrà essere tratto da vigneti idonei e quindi iscritti in un apposito albo, la cui resa massima non potrà superare i 70 quintali d’uva per ettaro», spiega il presidente, Guido Carlo Alleva, titolare con la figlia Giulia della Tenuta Santa Caterina di Grazzano Badoglio. «E potrà chiamarsi Monferace soltanto se riuscirà a superare l’esame di una commissione di assaggio che lo degusterà alla cieca». Monferace, secondo la Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti, pubblicata a Bologna nel 1550, era l’antica denominazione del territorio che successivamente, mutata la lettera c in t, è diventato il Monferrato. 

Più territori per un unico obiettivo

Chiamandosi Monferace il Grignolino intende sottolineare il proprio ritorno all’antico e identificarsi come espressione del Monferrato, dell’area geografica definita dai fiumi Po e Tanaro e dalle città di Casale Monferrato, Asti e Alessandria. Proprio per questo, sottolinea Mario Ronco, l’enologo di riferimento dell’associazione di cui è stato il più convinto promotore, il Monferace sarà realizzato in tutt’e tre le zone a Doc in cui è suddivisa la produzione di questo vino: «Tra i dieci soci fondatori», fa notare, «sono presenti non solo produttori di Grignolino del Monferrato Casalese e di Grignolino d’Asti, ma anche di Piemonte Grignolino. Pure nel territorio di quest’ultima Doc, molto discussa, non mancano aree ad alta vocazione: il caso più clamoroso è quello di Lu, un comune che non fu incluso nella zona di produzione del Monferrato Casalese per un errore di trascrizione!».

Da degustare senza fretta

Tra i fondatori dell’associazione del Monferace manca però Mauro Gaudio, titolare a Vignale di Bricco Mondalino, una delle aziende che più hanno contribuito a tenere alto il prestigio del Grignolino. Come mai? «È molto semplice», spiega lui stesso. «Pur essendo convinto che il nostro vino abbia la capacità di durare nel tempo se viene proposto dopo essere stato affinato in legno, mi è sembrato esagerato farlo soggiornare in cantina più a lungo del Barolo. Se lo si invecchia per 40 mesi deve poi durare per qualche decennio. E io non vorrei correre il rischio di dover dire al cliente: senti com’è complesso, ma affrettati a berlo. E poiché sta per essere approvata l’inclusione nella Doc della versione Riserva, che prevede un invecchiamento in legno secondo me più adeguato, è quella la soluzione che ho scelto».

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 05/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com.
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© Riproduzione riservata - 28/11/2016

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