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Fratelli Dibenedetto, vini da agricoltura sinergica

24 Giugno 2017 Jessica Bordoni
Quattro giovanissimi fratelli e una Cantina dal nome evocativo, L’Archetipo, che in greco significa modello, forma originale. Carlo Nazareno ha 25 anni e studia Scienze naturali; Domenico ne ha 24 ed è iscritto a Scienze dei materiali; Andrea, 21, è impegnato nel Management; e Maria Clelia, diciottenne, sta concludendo le superiori, ma questo non le impedisce di partecipare attivamente alla vita aziendale come il resto della famiglia.

La scelta dell’agricoltura sinergica

Dietro di loro c’è la mamma Anna Maria e il papà Valentino Dibenedetto, “agronomo e contadino dalla nascita”, che dopo molti anni in regime biologico nel Duemila ha deciso di abbracciare la filosofia biodinamica per i suoi 30 ettari di vigna a Castellaneta, nel Tarantino, a circa 320 metri di altezza. «Qualche anno fa, però, ci siamo accorti che neanche l’approccio biodinamico riusciva a creare un vero equilibrio e siamo passati a quella che noi definiamo “agricoltura sinergica”, registrandone il marchio», spiega Andrea. «Si tratta di un sistema completamente sostenibile, che innesca le sinergie tra tutti i vari anelli che compongono l’ecosistema-vigneto in una collaborazione fra elementi vegetali e animali.

No all’aratura, sì ai lombrichi

Tra i capisaldi c’è la totale assenza di aratura, che invece è contemplata sia nella agricoltura convenzionale che in quella biologica e biodinamica. Si tratta di una pratica dispendiosa ma soprattutto dannosissima, traumatica per la microflora e microfauna del terreno, che implica la produzione di anidride carbonica e favorisce fenomeni di erosione del suolo e malattie delle piante. Ad “arare”, lasciamo che siano i lombrichi».      

Gli insegnamenti di Steiner a Masanobu Fukuoka

«Il nostro unico intervento, insomma, è quello di sfalciare l’erba, che depositandosi mineralizza e nutre il suolo che in questo modo si riappropria dell’humus». Tale concezione riprende le teorie antroposofiche dello studioso austriaco Rudolf Steiner agganciandole al pensiero del meno noto ma non meno affascinante di Masanobu Fukuoka, botanico giapponese, pioniere dell’agricoltura naturale o del non fare. Ne nascono vini autoctoni profondamente territoriali e quasi tutti vinificati in purezza, che riposano nella cantina aziendale scavata nel tufo.

100 mila bottiglie tra rossi e bianchi

La forma di allevamento è a “controspalliera libera”, in omaggio a un libro di Steiner dal titolo “Filosofia della libertà”, mentre la vendemmia è rigorosamente manuale. L’assenza della chimica si traduce anche nella scelta di utilizzare soltanto lieviti indigeni e vinificati senza chiarifiche o filtrazioni. In tutto 100 mila bottiglie che non hanno nomi di fantasia, ma si chiamano come il vitigno di riferimento. Le varietà principali sono Primitivo, Aglianico, Negroamaro e Susumaniello tra i rossi; mentre sul fronte dei bianchi troviamo Greco, Fiano e Moscatello.

Primitivo e Aglianico anche in blend

L’eccezione che conferma la regola è il blend Primitivo Aglianico, Puglia Igp, da viti fra i 15 e i 18 anni con una produzione media di 60 quintali per ettaro. «Le varietà vengono unite alla fine della fermentazione alcolica e prima della malolattica. L’affinamento avviene in botti grandi sulle fecce fini per 12 mesi, poi in acciaio per un altro anno e in bottiglia per almeno 6 mesi». Di grande piacevolezza e intensità aromatica anche il Primitivo e l’Aglianico in purezza, così come il Negroamaro Niuru Maru, un rosso morbido ed equilibrato.    

Niuru Maru, il Negroamaro

«Dopo la pigiadiraspatura, la fermentazione avviene per mezzo di una piccola massa di uva vendemmiata 10 giorni prima, che assicura un pied de cuve di lieviti autoctoni. Dopo circa 20-30 giorni, gli acini vengono separati e si procede con una leggera pressatura. Teniamo controllata la temperatura entro i 24°C, per preservare al meglio i profumi». L’affinamento è in acciaio su fecce fini per 6 mesi, con un successivo passaggio di 2-3 mesi in botti grandi e riposo in bottiglia per altri 90 giorni.

Bianchi e spumanti metodo Charmat lungo

Molto identitaria ed espressiva anche la batteria dei bianchi, dove si distinguono il Fiano e il Greco bianco, dotati entrambi di un’integrità di frutto e una bella struttura, abbinata a un’acidità importante. Le fermentazioni sono svolte a basse temperature (13-14 gradi) e la maturazione avviene rigorosamente in acciaio, per preservare gli aromi. Sia il Fiano che il Greco bianco sono disponibili anche in versione spumantizzata, così come il Marasco e il Moscatello Selvatico. «Pratichiamo il Metodo Charmat lungo, ma nel caso del Greco bianco si tratta di una bollicina Dry, mentre il Fiano è un Demi Sec, il Marasco un Brut Nature e il Moscatello selvatico un Rosato Dolce», conclude Andrea. Molto apprezzati all’estero, i vini L’Archetipo sono distribuiti in Italia da Velier e fanno parte del gruppo di produttori Triple A, ovvero agricoltori, artigiani, artisti.

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