Farnese vini passa al fondo Platinum Equity. Intervista al presidente Sciotti
È la prima operazione del 2020: il fondo americano di investimenti Platinum Equity, tra i maggiori del mondo, è il nuovo proprietario della Farnese vini, realtà vinicola abruzzese, tra i player più interessanti del mercato italiano. Abbiamo chiesto a Valentino Sciotti, fondatore e presidente esecutivo di Farnese (in foto), di raccontarci i dettagli.
La società californiana Platinum Equity entra nella Farnese rilevando l’intera partecipazione, di oltre il 70%, della Nb Renaissance Partner che esce dall’azienda, dopo tre anni, triplicando il proprio investimento. Il valore del merger non è precisato, ma non sarà sicuramente inferiore a 180 milioni. Così come è una certezza la presenza accanto al nuovo azionista di maggioranza dell’imprenditore Valentino Sciotti, fondatore e presidente esecutivo del gruppo abruzzese, che, a bocce ferme, sarà titolare con la sua famiglia di una quota del capitale compresa tra il 20% e il 30%.
Farnese Vini, un caso imprenditoriale di successo
Fin qui i termini di un’operazione che accende i riflettori su un caso imprenditoriale di successo e più in generale su un’azienda che rappresenta un unicum nel panorama nazionale del vino. Fondata nel 1994 da tre amici, Valentino Sciotti, l’enologo Filippo Baccalaro e Camillo De Iuliis, con un investimento totale pari a 1.500 euro, l’azienda ha il suo quartiere generale a Ortona, in provincia di Chieti, e si è mossa fin da subito su un modello operativo originale.
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Oltre 300 artigiani della vigna
«Abbiamo escluso fin dal primo momento di investire sui terreni», racconta Valentino Sciotti. «Conosco bene il mondo agricolo e sono convinto che la migliore qualità la fa il contadino, l’artigiano della vigna che lavora con passione, conosce il suo vigneto e la specificità delle singole microaree: è per questo che abbiamo deciso di lavorare con loro affittando le loro terre. Oggi sono più di 300 le piccole aziende agricole che operano con noi e sono remunerate, a inizio anno, in funzione dell’estensione del loro vigneto. Ciò vuol dire liberare il contadino dallo stress della quantità, dandogli certezza del reddito del suo vigneto, del tutto indipendente dalla produzione».
In cantina il lavoro è certosino
Con questo schema operativo, è decisiva, secondo Sciotti, la gestione dell’uva in cantina. «Abbiamo 20 enologi e 2 consulenti per realizzare un lavoro certosino, stile orologiaio svizzero trasferito nel vino», scandisce il regista della Farnese, fiero di aver creato un gruppo vinicolo specializzato nel centro-sud che dall’Abruzzo si spande in Basilicata, Campania, Puglia, Sicilia e Toscana, avendo creduto tra i primi sui vitigni autoctoni. «In Puglia abbiamo promosso il vitigno Primitivo quando ancora non aveva appeal, puntando anche sui vigneti più vecchi che non erano ritenuti interessanti».
Un modello operativo originale
Insomma un percorso originale quello di Farnese, basato anche su attente tecniche di vendita e strategie di marketing, che ha prodotto risultati notevoli: il gruppo abruzzese significa oggi 76 milioni di fatturato per il 97% alimentato dalle esportazioni in 80 mercati (Germania, Svizzera, Canada, Olanda, Belgio e Giappone sono i principali). Interessante il progresso aziendale anche sul fronte della profittabilità: l’ebitda, e cioè l’indice di redditività della gestione operativa, è cresciuto sistematicamente toccando il 23% nell’ultimo esercizio.
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Nel 2013 l’apertura al private equity
Non è quindi per caso che la decisione di Nb Renaissance di mettere in vendita la sua quota nella Farnese abbia suscitato tante manifestazioni di interesse da parte di investitori italiani e stranieri (Francia compresa). D’altra parte l’azienda abruzzese è stata anche una delle prime in Italia ad aprire le porte del suo capitale al private equity, grande acceleratore di valore. Risale al 2013 l’ingresso della 21 Investimenti di Alessandro Benetton che ha avuto la capacità di intuire le potenzialità di un’azienda che all’epoca aveva ancora una gestione fatta in casa. «Quella prima operazione ha cambiato la nostra storia», spiega Sciotti, «abbiamo creato una struttura di controllo allora inesistente e abbiamo dato all’azienda una vera e propria organizzazione indispensabile per fare salti di qualità».
Verso la quotazione in Borsa?
Dopo 21 Investimenti (uscita nel 2016 raddoppiando il suo investimento) e Nb Renaissance, oggi tocca alla Platinum Equity. Nel frattempo, il sostenuto sviluppo di Farnese e il suo ingresso nel circuito Elite di Borsa italiana (che ospita aziende ad alto potenziale in vista di un possibile accesso al mercato dei capitali) ha alimentato l’ipotesi di quotazione in Borsa. «È un’opzione non all’ordine del giorno che io vedrei soprattutto come un riscatto di tutto il sud enologico, per dimostrare che anche nel meridione è possibile creare un’impresa sana, performante e efficiente», commenta Sciotti.
La nuova tappa con Platinum Equity
Di sicuro si apre ora una terza tappa nel cammino della Farnese, che non si distrae dai suoi obiettivi di crescita. Globetrotter sui mercati internazionali, Sciotti procede a tutto gas nella costruzione della «più grande boutique vinery d’Italia attenta a ogni dettaglio» e non perde occasione di valorizzare i marchi del gruppo: Vigneti del Salento, Cantina Sava e Luccarelli in Puglia, Vini Fantini, Gran Sasso e Caldora in Abruzzo, Vesevo in Campania, Vigneti del Vulture in Basilicata, Vigneti Zabù e Cantina Cellaro in Sicilia, Tenute Rossetti e Terre Natuzzi in Toscana.
Il presidente Valentino Sciotti: “Lo sport ti insegna a lavorare”
Sportivo doc, maratoneta e ciclista appassionato, nel dna di Sciotti c’è un alleato prezioso: lo sport. Da sempre infatti Farnese ha sposato i suoi vini al mondo del ciclismo con un ritorno importante sul fronte commerciale e quest’anno il gruppo sosterrà ben due squadre al giro d’Italia: la Israel start-up nation con il brand Fantini e l’italiana Vini Zabù. «Lo sport è impegno e valore, ti insegna a lavorare, a soffrire, a credere nella possibilità di realizzare un obiettivo: tutto ciò va trasferito nel mondo del lavoro e i risultati arrivano», sostiene Sciotti che oltre a uno staff affiatato di collaboratori oggi può anche contare sul contributo della figlia Giulia responsabile del marketing, dopo esperienze in Cina, a Bordeaux, in Spagna. «Non c’è nessun automatismo», dice il papà. «Sono molto esigente: l’azienda deve essere un punto di arrivo solo a fronte di un curriculum ben fatto».
Tag: cambio proprietà, fondo d'investimento, private equity, Valentino Sciotti© Riproduzione riservata - 17/01/2020