Fare vino è una cosa per giovani?

Fare vino è una cosa per giovani?

Possedere una vigna e dedicarsi alla produzione enologica è un’attività più attrattiva per le nuove generazioni rispetto ad altri settori, ma non cresce. Anzi, diminuisce. Lo rivela l’ultimo rapporto preparato da Ismea sul tema. Diverse le motivazioni, dall’accesso al credito alle bizze del clima.

Il connubio tra vino e giovani non è da annoverarsi tra le unioni più felici e solide presenti sul mercato italiano negli ultimi tempi. Questo al netto dei proclami di associazioni di categoria del settore agricolo e della classica e ricorrente retorica delritorno alla terra”, ciclicamente presente soprattutto sulla stampa generalista, dove prima o poi compare sempre la storia di giovani disillusi dal lavoro o stanchi della vita cittadina che “mollano tutto” e aprono un agriturismo, un allevamento di api o, naturalmente, un’azienda vinicola. 
Al di là del cambio delle abitudini di consumo dei giovani evocate ormai da molte analisi di mercato – ancora pochi mesi fa l’Osservatorio UIV sottolineava come gli under 24 pesino solo il 4,4% nel paniere dei consumi di vino in Italia – il vero tasto dolente risiede forse più a monte, nell’apertura di aziende agricole in generale, e quindi anche vinicole, da parte di quella popolazione che le statistiche annovera sotto i 35 anni.

La vigna piace di più, ma c’è l’altra faccia della medaglia

“Sono oltre 5.500 i giovani agricoltori e le giovani agricoltrici italiani che producono vino, il settore più gettonato dalle imprese under 35” annunciava in concomitanza con l’ultima edizione del Vinitaly un comunicato di Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga. “In pratica, un’azienda su dieci tra quelle condotte da ragazzi e ragazze possiede una vigna”.
Tutto vero, anzi, il dato assoluto, potrebbe anche essere sottostimato, considerando, come ci ha spiegato la Direzione filiere e analisi dei mercati di Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), che il sistema di indicizzazione dei dati delle aziende “con coltivazione di uva” presenti nella banca dati Tagliacarne-Infocamere potrebbe non prendere in considerazione alcune imprese della categoria “coltivazioni permanenti”. Ma al di là di questo dettaglio tecnico, ciò che in realtà emerge dall’analisi dei dati presenti in un altro interessante rapporto, quello dal titolo “Giovani e Agricoltura 2024”, realizzato sempre da Ismea, non è certo uno scenario così entusiasmante e invita alla riflessione più che a facili squilli di tromba.

Le aziende agricole under 35 in Italia diminuiscono, anche nel vino

In Italia nel 2023 su più di 700 mila imprese agricole, quelle gestite e condotte da giovani agricoltori under 35 sono quasi 53 mila, pari al 7,5%. Rispetto al 2022, se a livello complessivo si registra un calo del -2,4%, nel caso delle aziende under 35 il calo sale al -4,8%. Non è un bel segnale, nonostante il rapporto di Ismea sottolinei come, pur in un generale quadro di difficoltà dell’imprenditoria giovanile in Italia, quello relativo alle imprese appartenenti al mondo agricolo sia migliore rispetto ad altri comparti industriali.
Se però torniamo indietro ai dati del censimento Istat del 2020, il numero di giovani agricoltori sul totale dell’imprese era più alto, pari al 9,3%, e confrontandolo con i dati di altri Paesi, il distacco appare ancora decisamente più alto: 18,2% in Francia, 14,9% in Germania e più basso anche della media comunitaria, pari all’11,9%. Se andiamo a vedere la sottocategoria delle aziende che coltivano uva, dato non presente nel rapporto ma che ci ha gentilmente fornito Ismea, (all’interno ci sono anche quelle che coltivano uva da tavola, ma sono decisamente minoritarie), il calo rispetto al 2022 è solo del -1,3%, ma anche in questo caso sale al -4,4% per quanto riguarda le aziende under 35.

Lo scenario sociale: lo spopolamento delle aree rurali e…

Prima di cercare di indagare alcune delle motivazioni che giustificano questo scenario, è bene dare un’occhiata ad alcuni indicatori generali che ben ci fanno comprendere come aprire un’impresa agricola, che sia di vino e meno poco importa in questo caso, non sia una delle attività più semplici Italia, a partire dall’assenza di un sistema Paese che consenta di assicurare la presenza di alcuni fattori che potremmo definire come “fondamentali”.
Nel quadriennio 2018-2022 dal rapporto di Ismea emerge, infatti, come la popolazione nei territori rurali sia calata del -3%, dato che sale al -6% nella fascia di età 15-39 anni. In questi aree, ad esempio, le famiglie italiane raggiunte da connessioni in fibra ottica ultraveloci sono poco più di un quarto, contro il 41,4% della media comunitaria e la presenza di servizi per la prima infanzia, altro indicatore che non depone certo a favore del ripopolamento di questi territori, è pari al 28%, dato ampiamente al di sotto del target del 45% fissato per il 2030.

…la mancanza di appeal da parte delle scuole a indirizzo agrario

Un altro dato da non sottostimare e che contribuisce a fotografare il clima che si respira quando si pensa al mondo agricolo, è quello relativo al numero di studenti iscritti a scuole secondarie o universitarie con indirizzo agrario che appare, non solo deficitario, ma decisamente sconfortante, soprattutto se consideriamo che l’offerta, quanto meno dal punto di vista quantitativo, è notevolmente ricca.
A fronte di 37 università a indirizzo agro-forestale e veterinario e 451 istituti agrari, divisi tra istituti tecnici (179) e professionali (272), di cui la metà si trova nel Mezzogiorno, il numero degli iscritti a istituti secondari (professionali e tecnici) a indirizzo agrario, sempre nel periodo 2018-2022, è stato pari a solo il 2,9% del totale degli iscritti complessivi alle scuole secondarie. Se guardiamo agli studi universitari, poco cambia: gli immatricolati alle facoltà di agraria sono stati in media più di 7 mila all’anno sempre nello stesso periodo, cioè solo il 2,6% del totale in tutte le facoltà.

© Pexels – energipic

Il cambio generazionale, un tema molto complicato

«I processi di ricambio e passaggio generazionale, per quanto auspicabili, non sono per nulla semplici e scontati», ci spiega, ad esempio, Lorenzo Cesconi, presidente della FIVI, la Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, che raduna al suo interno circa 1700 produttori.
Benché al suo interno non sia presente uno specifico osservatorio rivolto alle giovani imprese e quindi sia anche difficile scattare una fotografia nitida e precisa, il tema delle difficoltà di queste ultime è ben presente, proprio a partire dallo storico problema del ricambio generazionale, presente in modo importante sia nel mondo agricolo e in quello vitivinicolo. «Nonostante il settore sia maturo e gratificante, è un lavoro duro e pieno di rischi, che necessita di competenze sempre più specifiche e basi solide, anche dal punto di vista finanziario. In questo senso non è un caso che le più importanti acquisizioni, in questi ultimi anni, vengano realizzate da grandi gruppi, spesso con capitali provenienti da altri settori».

Il nodo dell’accesso al credito e alle risorse comunitarie

Tra le possibili cause del calo delle imprese under 35 il rapporto Ismea cita il progressivo esaurimento delle risorse comunitarie dello sviluppo rurale della PAC 2014-22. Sempre secondo Cesconi il tema delle agevolazioni fiscali e dell’accesso al credito, certamente importante, non è però sufficiente a stimolare l’imprenditoria giovanile.
«Servono strumenti finanziari innovativi che sostengano la crescita aziendale, anche alternativi al solo credito bancario, che in Italia sembra essere l’unica soluzione», continua il presidente della FIVI. «Le aziende vitivinicole sostengono investimenti che, a differenza della maggior parte degli altri settori produttivi, rientrano solo dopo tanti anni. Inoltre, le Pmi (Piccole e Medie Imprese) hanno inevitabilmente meno opportunità di accesso al credito rispetto alle aziende di più grandi dimensioni, e questa difficoltà si manifesta inevitabilmente in ridotti investimenti in crescita a livello aziendale. È un circolo vizioso che bisogna superare. Ma la questione della crescita e dello sviluppo aziendale non è solo legata al credito: da tempo, ad esempio, chiediamo di inserire tra i criteri di priorità per il rilascio di nuove autorizzazioni il sostegno allimprenditoria giovanile».

I bandi, spesso studiati per realtà grandi e standardizzate

«Per aziende piccole, intorno alle 60 mila bottiglie, è molto difficile avere accesso ad agevolazioni e fondi, perché i bandi sono molto standardizzati. Quindi per un’azienda che ha magari dai 20 ettari in su è molto più semplice, ma per un’azienda che ha 5, 6, 10 ettari diventa più complicato partecipare e quindi pensare di fare investimenti in vigna o in cantina».
A parlarci è Francesco Bocchino, 32 anni, ma al timone, insieme alla sorella Delia da ben 12 anni (quando era quindi giovanissimo) della sua azienda Tojo (5 ettari, a breve 8, circa 15 mila bottiglie all’anno), sulle colline di Santo Stefano Belbo in Piemonte, terra di Moscato. «I bandi a volte ti obbligano a investire in strumenti certamente utili, ma che in quel momento non ti interessano, ad esempio un atomizzatore che inquina meno, ma che magari ho appena comprato due anni prima. Altre volte ti aiutano se aumenti la superficie vitata e, quindi, se assumi qualcuno, ma per aziende piccole e familiari, che magari hanno raggiunto un loro equilibrio, non è così facile farlo».

I cambiamenti climatici spaventano

Anche il clima, variabile sempre più impazzita, sembra non invogliare le giovani generazioni a intraprendere un’attività che, piaccia o meno, si svolge sotto il cielo. Nel rapporto Ismea anche questo aspetto è tra quelli citati per giustificare il calo della crescita di aziende under 35 nel 2023: meteo instabile e quasi impazzito, significa instabilità anche nei risultati produttivi.
«Il clima è una variabile che c’è sempre stata, ma forse non è mai stata così importante come quando ho iniziato io», ci spiega questa volta Marco Fina che, insieme al fratello Sergio e alla sorella Federica, rappresenta la seconda giovane generazione che porta avanti l’omonima azienda che opera nel territorio di Marsala in Sicilia.
«In alcune zone c’è grandissima siccità, in altre piove in una maniera torrenziale con grandini, con tutti i problemi che questo comporta». Secondo il produttore siciliano, i cambiamenti climatici in atto, probabilmente, stanno facendo rinunciare giovani leve già inserite nel mondo del vino per motivi famigliari, a continuare questa attività, considerando che spesso i guadagni e gli utili non sono all’altezza delle aspettative. «Noi in Sicilia stiamo vivendo una siccità mai vista prima. Io vivo in una zona periferica di Marsala dove ho un pozzo ed è una zona dove l’acqua non è mai mancata: l’anno scorso, l’acqua è finita a fine agosto, quest’anno a fine maggio, e questo è un segnale emblematico».

Occorre un cambio culturale

Anche secondo Cesconi la fase climatica che stiamo vivendo, caratterizzata da una crescente imprevedibilità ed estremizzazione, non è un aspetto invitante per chi deve iniziare a fare viticoltura, perché non consente la pianificazione e costringe ad essere non solo particolarmente reattivi, ma anche a dar fondo a capacità interpretative un tempo non così necessarie. Però si può reagire. «È comprensibile che questa esposizione ai rischi non sia una prospettiva imprenditoriale allettante, conclude. Ma gli strumenti attivi e passivi per intervenire nella gestione del rischio ci sono: serve un cambio culturale importante, anche tra gli operatori agricoli».

Foto di apertura: © Pexels – energipic

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© Riproduzione riservata - 02/10/2024

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