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Evoluzioni d’Alto Adige: al Wine Summit si è discusso di Uga, cru e nuove tipicità

Evoluzioni d’Alto Adige: al Wine Summit si è discusso di Uga, cru e nuove tipicità

Il progetto di zonazione, in via di approvazione, darà nuova impronta ai vini. Con 86 toponimi, rese più basse e vitigni ammessi. Se n’è discusso alla quarta edizione dell’evento, in scena dal 7 al 9 settembre.

La ricerca della tipicità. Parafrasando la nota pellicola, nella testa e negli sforzi dell’Alto Adige viticolo c’è l’intenzione di dare corpo e nome ai suoi territori del vino e alle loro espressioni più tipiche. È una voglia che si ascolta parlando coi produttori, si annusa passeggiando tra le vigne, si sente nel bicchiere, si vede quando ti indicano i lineamenti di queste valli del vino. Il progetto di zonazione – pur in attesa di scavalcare gli ultimi dettagli burocratici che non permetteranno il varo per l’annata 2023 – ha polarizzato, non a caso, discussioni e idee della quarta edizione dell’Alto Adige Wine Summit, importante occasione biennale di confronto tra cantine (97 le partecipanti a questa edizione), stampa e addetti ai lavori. Con tanto di suggestiva serata finale tra le mura di Castel Firmiano alla presenza della leggenda dell’alpinismo (e anche produttore di vino) Reinhold Messner.

Andreas Kofler, presidente del Consorzio Vini Alto Adige © IDM-Südtirol Wein-mintmediahouse

Verso 86 toponimi

Le nuove Uga (unità geografiche aggiuntive) compariranno auspicabilmente in etichetta dal 2024: 86 toponimi individuati con un concerto di sforzi che parleranno di vigne, terroir e varietà.
«Saranno certificati da un pittogramma su carta, garantendo anche il rispetto di più restrittivi disciplinari di produzione, come l’abbassamento delle rese massime (25% in meno, nda) e l’ammissibilità del vitigno sul toponimo», specifica Andreas Kofler, presidente del Consorzio.
«Si tratta di dare ancora di più un’impronta della nostra zona e dei nostri terroir e ulteriori garanzie di qualità al consumatore. L’Alto Adige è arrivato oggi al suo momento 3.0. Dopo albori fatti di una viticoltura di quantità ed esportazione si è passati alla missione sulla qualità, in vigna e in cantina, partita a fine anni ‘80. Ora possiamo permetterci di esaltare la varietà giusta nella zona che le compete. Il passo rivoluzionario è proprio quello di limitare il numero di vitigni coltivabili nelle zone individuate a un massimo di cinque. Ma alcune zone come Mazzon col Pinot nero, ne prevedono solo uno».

© IDM-Südtirol Wein-mintmediahouse

Numeri, nomi, stile

I numeri fotografano la situazione attuale. Sui terreni altoatesini (da 200 a oltre 100 metri, su porfido vulcanico, rocce primarie come quarzo e mica, calcare e dolomia) la varietà più coltivata resta il Pinot grigio (12%), seguito da Gewürztraminer e Chardonnay (entrambi al 11%). Dall’ultima mappa risulta stabile la diffusione del Pinot bianco (10%), in leggera flessione l’autoctona Schiava e in lieve aumento il Pinot nero (entrambi ora al 10% del totale). Lagrein (9%), Sauvignon blanc (8%), Müller Thurgau e Merlot (3%) completano la top 10.
Gli ettari vitati sono 5.700 (200 in più rispetto a due anni fa) e vengono gestiti da 5 mila viticoltori. Come noto le realtà cooperative qui sono un modello: le 12 cantine sociali producono il 70% dei 40 milioni di bottiglie annue. Le tenute private sono 32 (25% della produzione) e 143 vignaioli indipendenti (5%).
Ad oggi la mappa etnografica – lo diciamo dopo decine e decine di assaggi – si traduce in una forte impronta stilistica: i vini nati fianco a fianco finiscono spesso per assomigliarsi molto. Una coerenza che è sia pregio che limite. Trovate eccellenza e costanza qualitativa indiscutibili, con l’introduzione delle Uga le cantine dell’Alto Adige hanno davvero l’opportunità di fare uno step in più, ricercando un tratto unico e personale.

Foto di apertura: dal 7 al 9 settembre si è tenuta la quarta edizione della manifestazione biennale Alto Adige Wine Summit © IDM-Südtirol Wein-mintmediahouse

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© Riproduzione riservata - 19/09/2023

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