Diario di un aspirante sommelier (ovvero, la parola a un extraterrestre) – 3ª puntata
Un collega giornalista, specializzato in tutt’altra materia, sta frequentando un corso Ais e condivide con i nostri lettori le sue impressioni da appassionato (ancora) inconsapevole. È inquietante osservare come nello scorrere del suo racconto si manifesti progressivamente la trasformazione antropologica dell’homo oenologicus.
Ho letto che la tana del Bianconiglio – quella di Alice – è simbolicamente l’entrata del subconscio. L’ho scoperto facendo ricerche, perché pensavo di iniziare la terza parte di questo diario citando proprio Lewis Carroll. Ora mi sembra un po’ pretenzioso, ma mi piaceva la metafora per parlare di due lezioni particolari, quelle sui vini “speciali”. Per introdurre soprattutto il concetto che quando ci si addentra in un argomento (e il vino è un esempio perfetto) si incontrano spesso nuove vie da esplorare, che portano sempre più in profondità.
Effervescenza versus dolcezza
Nel già sconfinato mondo dei vini infatti ci sono due categorie “speciali” appunto. Due strade che, nella percezione degli enotipici, vanno qualitativamente nella direzione opposta. Da un lato parliamo degli spumanti, di quelle bollicine che ci elevano, fino a brindare con Madame de Pompadour e James Gatz, e che ci fanno sentire in smoking anche quando siamo in pigiama. Sul fronte opposto troviamo “l’esercito della credenza della nonna”: passiti, fortificati e aromatizzati. Bottiglie che si versano in bicchieri piccoli, che associamo ai savoiardi, ai cantucci e nella migliore delle ipotesi a qualche cocktail. Di solito finiscono sulla tavola solo un paio di volte all’anno, spesso dopo un’orgia alimentare che ci lascia sfiniti e incapaci di scegliere tra un Porto o l’amaro dello zio Pino.
“Sto bevendo le stelle”
La lezione sugli spumanti (perdonate il gioco di parole) parte con il botto! Prima slide proiettata, una citazione di Dom Pérignon: «Venite fratelli, sto bevendo le stelle». L’esclamazione piuttosto lisergica è entrata nel mito, al pari della creazione del benedettino. Metà della sala ridacchia, chiedendosi quante “stelle” si fosse bevuto il frate prima di dire una cosa del genere. L’altra metà rimane seria e concentrata, probabilmente conosceva già la frase. Scopro subito che non è neppure così certo che sia stato proprio Pierre Pérignon a inventare lo Champagne. Sicuramente ne ha affinato il metodo di produzione e fu il primo a utilizzare il sughero per sigillare le bottiglie. Una piccola, enorme rivoluzione.
Dopo di lui segue una carrellata di illustri nomi perlopiù sconosciuti. Gli spumanti come li beviamo noi sono infatti il frutto di un progresso tecnologico dopo l’altro. Sono la storia di persone che hanno dedicato risorse e genio per imbottigliare le stelle. Per questo lo spumante è così speciale: grazie al lavoro dell’uomo, sembra poter divincolare la sua buona riuscita dai capricci della natura. Un’alchimia della cantina che guarda alla vigna con rispetto e gratitudine, ma senza soggezione. Se Prometeo avesse fatto un vino sicuramente sarebbe stato uno spumante!
Dalle stelle alle… nicchie
Se la lezione sugli spumanti si era aperta parlando di stelle, quella dedicata a passiti, fortificati e aromatizzati inizia con una bacchettata sulle dita. Passiti e fortificati (discorso a parte per gli aromatizzati) sono grandi vini! All’estero sono amati e compresi, in Italia semplicemente non li beviamo. Sono segregati a una nicchia di intenditori che ne apprezzano l’indubbia qualità. Dalle Alpi a Marsala abbiamo infatti un patrimonio prezioso, ma misconosciuto e pressoché ignorato dalle mode.
Ci viene spiegato quanta tecnica ci sia in queste bottiglie e quanta libertà abbiano la mano e la fantasia dell’uomo. Il lavoro di cantina ha un peso predominante sul risultato finale e, come per gli spumanti, il tempo e le scelte del produttore determinano sapore e caratteristiche dei vini. Gettiamo lo sguardo su un mondo vastissimo e molto sfaccettato; alla fine della serata la classe è piacevolmente in bilico tra curiosità e stordimento. Infatti, per abbracciare un argomento così complesso e tecnico, due ore di lezione non bastano. Sono però sufficienti per cambiare completamente la percezione che si ha di questi vini e per far nascere la voglia di approfondire e di scoprirli uno dopo l’altro.
Vini per taoisti
Il trittico di lezioni sulla degustazione è stato una vera e propria rieducazione semantico-sensoriale. Le due lezioni sui vini “speciali” invece hanno in qualche modo ampliato e approfondito la percezione di queste bottiglie fuori dall’ordinario. Conoscere meglio gli spumanti permette di coglierne un valore più profondo e di andare oltre il tappo a fungo e la sensazione di festa. In ogni bottiglia c’è più maestria che vigna e questo rende gli spumanti un’opera piena di umanità.
Passiti e fortificati sono invece una sorpresa: hanno bisogno di libertà, di uscire dalla credenza. Vanno stappati con curiosità e bevuti con audacia sia nelle circostanze che negli abbinamenti. Perché non scegliere un bel passito come aperitivo?
Queste due lezioni hanno dato profondità e un orgoglio antropocentrico alle bollicine e alle “bottiglie della nonna” che si sono svelate vivaci, moderne e versatili. In fondo, anche nei vini più blasonati e in quelli più bistrattati, c’è sempre un seme dell’opposto, proprio come nei tavolini a forma di Yin e Yang.
Foto di apertura: il sommelier visto da © Doriano Strologo
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© Riproduzione riservata - 18/12/2023