Addio a Giuseppe Benanti, imprenditore illuminato e pioniere dei vini dell’Etna
Se ne va una figura chiave dell’enologia siciliana. Fu tra i primi a comprendere le potenzialità dei vigneti del Vulcano e a collaborare con istituti e ricercatori, contribuendo a dare ai vini etnei la fama di cui godono oggi. Il ritratto del giornalista Andrea Gabbrielli.
Ci ha lasciato Giuseppe Benanti, per tutti Pippo. 78 anni, Cavaliere del lavoro e accademico aggregato dei Georgofili. Imprenditore farmaceutico – era sua la Sifi di Lavinaio, alle pendici del vulcano – aveva fondato nel 1988 la Tenuta di Castiglione a Viagrande (Catania), destinata a diventare un riferimento per la vitivinicoltura etnea.
Una piacevole sopresa
In un contesto in cui i vini della Sicilia occidentale si aprivano ai mercati del mondo, nel settore orientale l’abbandono dei vigneti e la vendita dello sfuso, sembravano l’unica prospettiva. Il mio incontro con Pippo Benanti fu all’insegna dell’incredulità. Nel corso di un viaggio alla ricerca di aziende e vini da segnalare, avevo trovato un panorama molto poco attraente dal punto di vista enologico. La degustazione dei suoi vini era stata una tale sorpresa per la pulizia dei profumi e dei sapori da esprimere non poche perplessità sulla loro reale provenienza.
La forza del vulcano
«E allora venga da me in cantina a verificare», mi incalzò Pippo Benanti. «Le faccio assaggiare tutto quello che vuole». Qualche tempo dopo un viaggio a Viagrande fugò tutti miei dubbi. Durante un freddo pomeriggio domenicale, degustai vasche, botti, vini in affinamento e in bottiglia. Avevo scoperto un mondo nuovo di vini dell’Etna eccellenti e fortemente caratterizzati. Benanti aveva da tempo intuito che da quei vecchi alberelli – spesso franchi di piede e di età centenaria, impiantati nei terrazzamenti, sulle lave vulcaniche disfatte – si celavano dei tesori eccezionali, unici.
Un team d’eccezione
In questo percroso fu importante il contributo e la collaborazione di enologi e ricercatori quali il prof. Rocco Di Stefano dell’Istituto sperimentale per l’Enologia di Asti e Jean Siegrist dell’Institut national de la Recherche agronomique di Beaune in Borgogna. Da ricordare anche gli enologi Gian Domenico Negro e Marco Monchiero, dalle Langhe, e Salvo Foti, alle prime armi, autori di vini destinati a lasciare il segno e soprattutto ad aprire nuove prospettive per la produzione etnea. Negli anni Novanta l’Etna rosso Rovittello e l’Etna bianco Superiore Pietramarina di Benanti divennero delle pietre di paragone.
Il lascito di Pippo Benanti
La Tenuta di Castiglione cambierà il suo nome in Benanti, allargandosi e acquistando vigneti in tutti gli areali della Montagna. La riscossa, dopo un lungo periodo di silenzio, era iniziata. Le poche Cantine esistenti acquistano forza e se ne aggiungono delle nuove. Il successo attuale e la fama internazionale dei vini dell’Etna hanno alla base le esperienze pionieristiche e di valorizzazione dei diversi versanti etnei che risalgono a quel periodo. Il lascito di questo imprenditore illuminato è che la qualità e l’identità di un vino non devono mai essere disgiunti dal rispetto del territorio; ma anche dalla ricerca, dalla sperimentazione e da una visione di lungo respiro. Ci mancheranno la sua ironia e il suo melodioso accento catanese. Ciao Pippo.
Alla signora Carmen, ai figli Antonio e Salvino, all’azienda Benanti, le più sentite condoglianze dell’autore e di tutta la redazione di Civiltà del bere.
Foto di apertura: Giuseppe Benanti con i due figli Antonio e Salvino
Tag: Benanti, Etna, Giuseppe Benanti© Riproduzione riservata - 02/02/2023