Prowein 2018, stile tedesco nel business vinicolo

Prowein 2018, stile tedesco nel business vinicolo

Non sarà esclusiva come una Ferrari né affascinante come una Bugatti, ma se cerchiamo affidabilità ed eccellenza, pensiamo alle auto tedesche, in ordine decrescente di lusso: Porsche, Mercedes, Bmw, Audi, Volkswagen. Per qualcuno “le tedesche” sono troppo care, poco accessoriate, fin troppo prevedibili, da risultare un filo noiose. Ma questi marchi nell’immaginario collettivo, specie maschile, solleticano le corde della fiducia e dell’affidabilità. Così è per Prowein 2018.

Non tutti amano Prowein

Ci sono produttori vinicoli che ci vanno malvolentieri, la considerano un’esposizione fredda e prevedibile, altri lamentano l’eccessivo aumento dei costi in pochi anni: lo stand, gli alberghi… tutto rincarato a ritmi sostenuti (come capita regolarmente nelle città che ospitano fiere di successo). E i più critici aggiungono che la crescita di espositori e visitatori non è stata adeguatamente accompagnata dal miglioramento dei servizi: code chilometriche alla stazione dei taxi, alla toilette, al ristorante, ovunque. Alla fine, però, è l’unica fiera che fa brillare gli occhi a molti produttori di vino e, sul versante della domanda, ancora eccita l’immaginario del trade internazionale.

Come organizzarsi

Per il resto, ci si organizza: c’è chi pianta le tende con la sua tribù a Essen, a circa 40 chilometri di distanza, e affronta quotidianamente il traffico dei pendolari (simile in tutte le città, ma meno congestionato rispetto a quello veronese, che scatena gli istinti più primordiali dell’altrimenti civile mondo del vino). Chi si prenota e paga l’albergo con 12 mesi di anticipo. Chi si infila all’ostello, come alcuni giovani buyer e il meno giovane scrivente, perché non aveva valutato l’impatto del tempo sulle tariffe di booking.com che per meno di 200 euro a notte offriva poco più che panchine sulla lussuosa Königsalle.

 

 

Qui dove si trova (quasi) tutto il mondo

D’altronde il segreto del suo successo è di una banalità disarmante: in nessun altro posto un buyer trova 6.870 espositori da 64 Paesi, compresi microcosmi qui tutto sommato degnamente rappresentati, e i maggiori Paesi produttori con collettive non simboliche, ma reali: Italia 1.700 espositori, Francia 1.550, Germania 990 e poi un mare di Austria, un oceano di Spagna, un padiglione con il Nuovo Mondo (Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Usa nelle loro diverse anime ecc.).

Cambia il ruolo delle fiere (ma resta l’importanza)

In circa 60.000, non a caso, sono giunti nella seriosa Düsseldorf da 133 Paesi, oltre il 70% top (o middle) management, insomma gente che compra («e poi ad altre fiere mandano le terze file», ha commentato sarcasticamente qualcuno). Magari il potenziale cliente non compra subito: ormai è chiaro a tutti che il ruolo delle fiere è mutato («di contratti se ne firmano sempre meno», un ritornello che si ripete da vent’anni), ma a livello di visibilità e opportunità venire qui ha un senso, come comprarsi un’Audi, o forse una Volkswagen. Sogni la Ferrari, poi pensi alle cose serie.

Il mercato tedesco non cerca avventure

Si rientra da Düsseldorf avendo anche raccolto le impressioni sul mercato locale, al secondo posto nelle esportazioni italiane. D’altronde la maggioranza dei visitatori è ancora tedesca. Secondo un esperto agente d’importazione, Antonio Stopper di Stoppervini Enomarketing: «Sulla piazza tedesca tutto è tranquillo, ai limiti della noia. Le vendite sono stabili, ma è difficile proporre novità, parlare di vino e non di prezzi. Gli operatori non vogliono avventure, ti chiedono quello che il cliente desidera e conosce: Lugana, Ripasso, Prosecco, Primitivo ecc.».

Distributori, importatori, agenti: l’anima di Prowein

Prowein è costellata di questi stand che al più giovane avventore dicono poco: come Stopper operano Francesco Sorrentino della Ges o Gianluca Morino di Oenostrategies, accanto a importatori classici come Schlumberger. Un universo di distributori, importatori e agenti ciascuno trincerato nella propria roccaforte, dove espongono “in squadra” decine di fornitori italiani: questa è un’anima importante della fiera.

Un successo che dura da 24 anni

Infatti, come ricorda lo stesso Stopper che la frequenta dalla prima edizione del 1994 «quando si chiamava Interwein e si svolgeva a Francoforte», Prowein nasce come teatro dell’offerta tedesca per la domanda tedesca. Tutto in un mercato che, all’epoca, era la mecca per il vino italiano. Come si sia trasformata nella fiera più internazionale del pianeta, potrebbe essere l’oggetto di una tesi di laurea.

 

 

Quando la preparazione incontra l’opportunità

Probabilmente, come diceva Seneca, “La fortuna è ciò che accade quando la preparazione incontra l’opportunità”. Quanto alla preparazione, nessuno dubita della Germania. L’opportunità fu il boom delle esportazioni (non solo italiane) degli anni Duemila e la trasformazione dell’industria vinicola in direzione internazionale. In tal senso, altre fiere potenzialmente globali, in primis la London Wine Fair, avevano perso il treno nel momento magico.

La chiave: mantenere equilibrio fra espositori e visitatori

In un’intervista a Winenews, il direttore di Messe Düsseldorf, Hans Werner Reinhard, ha sintetizzato così il pragmatismo tedesco: «Anche se teoricamente ci sarebbe lo spazio per aggiungere un nuovo padiglione, ciò che noi cerchiamo è prima di tutto l’equilibrio tra espositori e visitatori, perché ogni nuovo espositore qui si aspetta di trovare compratori, e noi questo lo dobbiamo garantire». Equilibrio è la parola chiave.

Lunga vita a Prowein!

D’altronde lo è per il grande simbolo del vino teutonico, il Riesling, che qui raggiunge vertici di raffinatezza in un equilibrio unico al mondo tra sferzante acidità e conturbante dolcezza. E ricordiamo un’altra qualità riconosciuta del Riesling tedesco: è molto longevo. Come lo è una Volkswagen e come lo sarà, probabilmente, la Prowein. Appuntamento a Prowein 2019 dal 17 al 19 marzo!

Foto: Messe Düsseldorf – C. Tillmann

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© Riproduzione riservata - 30/03/2018

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