Il 6 giugno è stata pubblicata la legge che riconosce l’anno di specializzazione post-diploma per la formazione dell’enotecnico, ora finalmente collocato al V livello del Quadro nazionale delle qualificazioni. Perché si tratta di un risultato importante? Ne parliamo con Andrea Panichi (Istituto San Michele all’Adige e Fondazione Mach), Paolo Brogioni (Assoenologi) e Giuseppe Dacomo (Scuola Enologica di Alba)
Probabilmente se chiedessimo a chi non è del settore (ma forse anche a una fetta non così minoritaria di chi ne fa parte) “Chi fa il vino in cantina?”, la risposta sarebbe quasi esclusivamente univoca: “L’enologo”. Risposta che, ovviamente, non è affatto sbagliata. Però da tempo, a dire il vero anche da prima della creazione del corso di laurea in Enologia, è sempre esistita un’altra figura, quella dell’enotecnico, che, quanto meno sul fronte del suo iter scolastico e formativo – non certo sul piano lavorativo ed occupazionale, in realtà molto florido – non se l’è passata proprio bene negli ultimi anni.
Almeno fino a poco tempo fa, esattamente fino al 6 giugno del 2025, giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto (d.l. 7 aprile 2025, n. 45) che riconosce l’anno di specializzazione post-diploma per la formazione dell’enotecnico, che ora è finalmente stato collocato al V livello del Quadro nazionale delle qualificazioni. Una novità importante? Certamente sì, ma per capirlo, bisogna fare un passo indietro.
Quando l’enotecnico diventava (quasi) automaticamente anche enologo
«Fino all’attivazione delle lauree brevi a inizio anni 2000 (Riforma Luigi Berlinguer del 1999, ndr) il diploma con specializzazione enotecnico era assieme ai diplomi universitari la formazione specifica che consentiva di accedere al mondo del lavoro presso aziende vitivinicole», spiega Andrea Panichi, professore dell’Istituto agrario San Michele all’Adige, nonché docente di Enologia presso il Centro istruzione e formazione della Fondazione Edmund Mach. «I diplomati enotecnico ottenevano automaticamente il titolo di enologo dopo un limitato arco di tempo di lavoro presso cantine o laboratori di analisi». La peculiarità di quel corso di studi era di durare non cinque, ma sei anni, con la vecchia formula del 4+2. Il diploma di maturità avveniva al termine del ciclo unico della durata di sei anni e conferiva il doppio titolo sia di perito agrario che di enotecnico.

Le riforme che portarono al rischio estinzione del titolo di enotecnico
Tutto però cambia tra il 1997 e il 2001 quando un primo decreto (d.l. n. 446/1997) ridefinì l’offerta formativa degli istituti tecnici e professionali allineando tutti i percorsi a cinque anni, e un secondo (dm 27/11/2001) soppresse formalmente il percorso che solo 11 scuole potevano attivare avendo ordinamento speciale per la viticoltura ed enologia.
«Grazie alla bravura e competenza di alcuni dirigenti scolastici fu possibile trasformare il ciclo unico sessennale in una formazione 5+1, con un anno facoltativo», ricorda ancora Panichi. In pratica, con il D.p.r. 88/2010 (Riforma Gelmini) si stabilì prima il conseguimento del diploma quinquennale in Agraria, agroalimentare e agroindustria, articolazione Viticoltura ed enologia, e poi l’ulteriore anno post-diploma organizzato dallo stesso istituto o da enti riconosciuti per diventare enotecnico. L’effettiva e concreta attuazione avvenne a partire dall’anno scolastico 2015/2016. Si tratta di un anno altamente specializzato, con sole materie tecniche, ore di laboratorio e i tirocini, un percorso al termine del quale è previsto l’esame finale con la presenza di un membro Assoenologi in commissione e l’esposizione di un elaborato finale.

Cosa significa essere inseriti nel V livello del Quadro nazionale delle qualificazioni
Tutto semplice e chiaro? Non proprio. «Il problema di questo titolo di enotecnico è che però non era stato mai stato formalizzato, quindi riconosciuto dal ministero della Pubblica istruzione, né tantomeno aveva una sua qualifica comunitaria», ci spiega questa volta Paolo Brogioni, oggi direttore di Assoenologi e con un lungo passato alle spalle di insegnamento al Corso di specializzazione enotecnico presso l’Istituto agrario di Siena. In Italia, infatti, esiste il cosiddetto Quadro nazionale delle qualificazioni (Qnq) che serve a classificare e rendere trasparenti le qualificazioni professionali e formative acquisite nei diversi contesti, a sua volta in coerenza con il Quadro europeo delle Qualifiche (Eqf). Sono otto i livelli e prima dello scorso 6 giugno non era ancora stato formalizzato a quale livello equivalesse il titolo di enotecnico. Ora si trova ufficialmente al V livello, in pratica come i diplomi Its (Istituti tecnici superiori), quindi al di sopra del diploma di scuola secondaria (IV livello) e sotto la laurea triennale (VI livello).
Una definizione più chiara e distintiva tra enologo ed enotecnico
Questo risultato è stato un grande successo un po’ per tutti, a partire dalla rete nazionale delle scuole enologiche, nata nel 2009 come interlocutore con i ministeri di riferimento e di cui la Fondazione Edmund Mach è capofila. Solitamente i corsi post-diploma sono biennali: quello per diventare enotecnico è quindi un caso unico in Italia a essere ammesso a questo livello. Con questo riconoscimento, di fatto oggi troviamo all’apice della piramide della direzione tecnica di un’azienda vitivinicola l’enologo, che ha conseguito una laurea triennale, e poi l’enotecnico che invece è il punto di riferimento per tutti i tecnici dei processi di trasformazione. «L’enologo ha competenze di tipo manageriale, specifiche anche nella promozione, nel marketing e quindi anche nella valorizzazione del prodotto», spiega sempre Brogioni. «Mentre l’enotecnico è il vero tecnico di processo sia in campo agrario che viticolo, che sa svolgere operazioni e coordina squadre di operatori che ad esempio stanno direttamente sulla linea di imbottigliamento o i colleghi in fase di vinificazione. Molti enotecnici, inoltre, lavorano nei laboratori di analisi chimico-fisiche e sensoriali».

Un’esperienza vincente nel caso di proseguimento universitario
«Finalmente il riconoscimento di enotecnico diventa un riconoscimento ufficiale. Sino ad ora questa figura esisteva, ma era un po’ traballante, anche se negli anni ha sempre lavorato e si è sempre ben confrontata con il settore produttivo», afferma Giuseppe Dacomo, professore e collaboratore del dirigente dell’Istituto di istruzione superiore Umberto I Scuola enologica di Alba, una delle storiche scuole che forma enotecnici in Piemonte e che attira studenti da un po’ da tutta Italia. «L’altra questione, ancora più importante, è che finalmente sarà possibile stabilire una convenzione con le università che hanno i corsi di laurea triennale in Viticoltura ed enologia per far riconoscere ufficialmente dei crediti». Accordo che ora viene stabilito singolarmente tra singole scuole e università ma che in futuro si auspica possa essere regolamentato a livello nazionale.
Il riconoscimento dei crediti potrebbe, secondo il professor Dacomo, portare in modo naturale più enotecnici a intraprendere il percorso universitario, con un bagaglio si conoscenze ed esperienze tecniche molto importante, perché «hanno già fatto sei vendemmie e sviluppato competenze nel settore che vanno apprezzate». Di questo è fortemente convinto anche il direttore di Assoenologi: «Io ho sempre detto a tutti i ragazzi che non devono considerare il percorso da enotecnico come un anno in più. In realtà le competenze tecnico-pratiche che ha questa figura, l’enologo se non ha fatto quel percorso non le acquisirà mai. Ecco perché secondo me è fondamentale».
I prossimi step? Il riordino delle professioni viticole ed enologiche
«Stiamo lavorando a un progetto, un disegno di legge quadro sulle professioni viticole ed enologiche, cioè l’enologo e l’enotecnico», conclude Paolo Brogioni. «Vorremmo reindividuare le competenze e avere un’asseverazione definitiva di questi titoli affinché siano anche professionalizzanti, cioè consentano di svolgere la libera professione subito dopo l’acquisizione del titolo senza l’iscrizione obbligatoria a un albo o a un collegio. Questo è già possibile per l’enologo, ma vorremmo lo fosse anche per l’enotecnico».
Insomma, un altro passaggio burocratico, che visti i cronici tempi presenti in Italia potrebbe non essere così breve, anche se il direttore di Assoenologi si dice ottimista, grazie alla presenza di due istituzioni di valore come la rete delle scuole enologiche da una parte e l’Istituto di San Michele all’Adige dall’altra. Oggi, d’altronde gli sbocchi lavorati per gli enotecnici sono molteplici e questa figura è decisamente ricercata: definire univocamente e con chiarezza il suo ruolo non può che agevolare tutto il settore.