Il Masseto va bevuto o capitalizzato?

Il Masseto va bevuto o capitalizzato?

C’è da esultare alla notizia che nel 2016 il Masseto è balzato all’ottavo posto tra i vini più cari (nel senso di più costosi) del mondo? È una domanda a cui, prima di rispondere, viene spontaneo opporne un’altra: ma la notizia è vera?
Su questo punto però non c’è dubbio, la notizia è verissima: a fornirla è la classifica dei prezzi medi che il Liv-ex (London International Vintners Exchange) utilizza come base per elaborare i suoi indici, considerati i più validi strumenti di misura (benchmark, in gergo finanziario) per valutare il rendimento degli investimenti nei vini di pregio (fine wines, per gli addetti ai lavori).

Masseto superstar

Ma proprio perché è vera, la notizia che il Masseto è nella pattuglia dei Top Ten, i dieci vini dal prezzo medio più elevato, sorprende perché nell’indice più importante del benchmark britannico, il Liv-ex Power 100, che prende mensilmente in esame le 100 etichette più ricercate alle aste internazionali, nessun marchio italiano è mai arrivato così in alto: nel 2016, per esempio, quello che si è piazzato meglio, Gaja, è soltanto al quarantasettesimo posto. L’indice, infatti, non si limita a prendere atto dei prezzi spuntati sul mercato secondario (in pratica alle aste), ma ha l’ambizione di valutare l’impatto che ogni vino avrà sulle contrattazioni man mano che diventerà più raro col passare del tempo.

Francia sempre in testa

Sta di fatto che le classifiche Liv-ex sono dominate dai vini francesi, soprattutto dagli Châteaux bordolesi, presenti in schiacciante maggioranza. Quale sia il peso attribuito ai vini italiani emerge con chiarezza dall’indice Liv-ex 1000, che monitora i mille vini più ricercati del mondo: 500 Bordeaux, 50 “leggende di Bordeaux”, 150 Borgogna, 50 Champagne, 100 Valle del Rodano, 100 Italia, 50 resto del mondo. Tradotto in soldoni, ai vini francesi è attribuito l’85% del mercato secondario mondiale, a quelli italiani il 10%, il 5% ai vini di tutti gli altri Paesi.

Ma l’Italia insegue

Del resto, se è vero che il prezzo medio delle casse di Masseto è di 4.619 sterline (equivalenti a 436 euro a bottiglia), quello delle casse del primo in classifica, il Domaine Romanée-Conti (che è un Borgogna), è di 18.141, circa quattro volte tanto. Tuttavia, indici e graduatorie del Liv-ex testimoniano che la percezione della qualità dei vini italiani è in costante crescita: l’anno scorso, per esempio, il Sassicaia ha venduto più casse di tutti i fine wines, 1.624, contro le 1.047 di Château Lafite-Rothschild.

Ma il piacere del vino c’è ancora?

Di questo, ovviamente, non ci si può che compiacere. Però con un sottofondo di inquietudine: la finanziarizzazione di cui è oggetto il vino sta spostando il baricentro dei suoi estimatori dai collezionisti agli investitori. È evidente il rischio che si trasformi la sua stessa essenza e da oggetto del desiderio diventi strumento di speculazione. Le casse non vengono più aperte perché nella confezione originale le bottiglie valgono di più, e passano di mano da un’asta all’altra, rincarando man mano che invecchiando diventano più rare. Chissà se prima o poi qualcuno le stapperà: il fine per cui vengono acquistate non è il piacere che possono dare a chi le beve, ma il guadagno che possono garantire a chi le vende.

 

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 2/2017. Per continuare a leggere la rivista acquistala sul nostro store (anche in formato digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 05/05/2017

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