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I mille per l’Aglianico (1ª puntata)

I mille per l’Aglianico (1ª puntata)

Case history: La Guardiense (1ª puntata)

Un rivoluzionario progetto di sperimentazione sull’Aglianico coordinato da Attilio Scienza per la parte agronomica e da Riccardo Cotarella per quella enologica. Il prezioso e indispensabile contributo dei soci entusiasti e orgogliosi di lavorare ad alti livelli, con l’obiettivo di riscattare la propria terra. In esclusiva lo studio seguito in tempo reale e articolato in tre puntate


L’impegno collettivo, in particolar modo quando è vissuto con passione ed è sentito come una missione comune, è capace di dare esiti straordinari. Ne sono un esempio La Guardiense e i suoi cinquant’anni di vita. La cooperativa agricola, una delle più grandi in Italia, è situata in un’area molto particolare del meridione, a Santa Lucia di Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento. Siamo geograficamente in Campania, è vero, ma per capire l’identità di questa terra serve slegarsi dalla collocazione fisica e spostarsi in quella storica: eccoci allora nella terra dei Sanniti, in una piana ondeggiante, collinare e dal microclima particolare che consente di non avere mai eccessi né di caldo né di freddo, incastrata tra i monti del Matese, che separano dal Molise, e il Taburno, che divide da Napoli. E sannite sono le origini degli abitanti di Guardia, instancabili e tenaci, che con questa terra fanno i conti da generazioni.

Al fianco del presidente Domizio Pigna Alla sua destra, Riccardo Cotarella, Elvio Plenzich, Nicola Tarantini (staff Falesco) e i soci storici Eneo Mancinelli e Colangelo Giuseppe. Alla sua sinistra, il vicepresidente Salvatore Garofano, Silvio di Lonardo, Amato Sebastianelli, Giuseppe Conte, Fabio Cimicchi (staff Falesco) e l’enologo de La Guardiense Marco Giulioli

Fondata nel 1960 da 33 lungimiranti soci, oggi la Cantina conta oltre mille agricoltori che coltivano a conduzione diretta più di due mila ettari di vigneto (la media è di due ettari a testa) situati in collina a un’altitudine di circa 350 metri sul livello del mare dando vita a 240 mila ettolitri di vino ogni anno. Ma non sono i numeri a dare senso alla Guardiense. La Cantina, guidata da soli tre presidenti in cinquant’anni, ha saputo adeguarsi ai tempi e al cambiare dei mercati, diventando simbolo del progresso tecnologico per l’intera provincia e riuscendo a coniugare esperienza e modernità. La Guardiense oggi si è fatta portavoce dell’espressione qualitativa di due vitigni che hanno trovato in questo particolare contesto ambientale un’area felice: l’Aglianico e la Falanghina. Grazie alla collaborazione con Attilio Scienza per la parte agronomica e Riccardo Cotarella per quella enologica, La Guardiense ha dato vita a una sperimentazione viticola e sociale dedicata all’Aglianico. «Solo La Guardiense, vista la sua struttura sociale, poteva dar vita a un progetto di questa portata rivolto alla ricerca della qualità, con fiducia nelle potenzialità ancora inespresse di questi due vitigni», ha spiegato il presidente Domizio Pigna. Attilio Scienza e Riccardo Cotarella hanno accettato la sfida: dimostrare che anche in una realtà cooperativa di grandi dimensioni e nel meridione d’Italia è possibile raggiungere altissimi livelli qualitativi. E che è possibile farlo con vitigni storici per il territorio. «Benevento è la provincia con più vigneti tra le cinque della Campania e da sola rappresenta il 45% dell’intera superficie vitata della regione con 10.500 ettari di vigne e 9.800 produttori», ha detto Gennarino Masiello, presidente della Coldiretti Campania. «Il comparto viticolo nel nostro territorio è riuscito a creare un ottimo compromesso tra qualità e quantità, un connubio non facile che rappresenta ormai un risultato consolidato. La Guardiense ricopre un ruolo di traino per le imprese del territorio. La nostra realtà è fatta di imprese di piccole dimensioni e per questo una cooperativa come La Guardiense racchiude e interpreta in un contesto più ampio gli interessi dei suoi soci. Tutti i progetti viticoli e di studio della Guardiense sono uno spunto di crescita per gli imprenditori e questo rappresenta un progresso per tutto il territorio. Grazie alle interazioni della cooperativa con le istituzioni locali e il mondo scientifico i produttori hanno la possibilità di conoscere innovazioni utili per acquisire maggiori competitività in un mercato globale difficile».
E arriviamo al punto, a ciò che rende questo progetto viticolo anche un progetto sociale. La sfida è stata raccolta anche da quei mille uomini che ogni giorno calpestano la vigna e affondano le mani nella terra, da quelle mille famiglie che di viticoltura vivono. È grazie al loro entusiasmo, alla loro capacità di adeguarsi al cambiare dei tempi, alla volontà di mettersi in gioco un’altra volta anche se non più giovanissimi, che è stato possibile portare avanti con successo il progetto Aglianico.

 

Il progetto

Il vigneto Di oltre 2 mila ettari della Guardiense è condotto direttamente dai soci e oggi è sotto la supervisione di Attilio Scienza e Riccardo Cotarella

Come dicevamo l’Aglianico è un’uva rossa che richiede una grande attenzione in pianta, soprattutto per quanto concerne la gestione quantitativa. Naturalmente la vite di Aglianico produrrebbe molto, ma, come ci ha spiegato Cotarella, una semplice riduzione in vigna non sarebbe sufficiente a ottenere davvero un miglioramento qualitativo. «Per questo motivo abbiamo scelto un vigneto sperimentale di un ettaro dove siamo intervenuti con quattro operazioni differenti», ha precisato Cotarella. «Abbiamo suddiviso questo ettaro in quattro parti: nella prima abbiamo lasciato che l’Aglianico crescesse liberamente, senza intervenire; nella seconda abbiamo eseguito un diradamento del 40% prima dell’invaiatura; nella terza il diradamento è stato del 40%, ma dopo l’invaiatura e nell’ultima parte abbiamo diradato del 40% dopo l’invaiatura ed eliminato anche la punta e le ali del grappolo, meno ricche di essenze caratteriali. Vedremo quali risultati ci daranno questi interventi solo dopo aver vendemmiato». Successivamente verranno fatte analisi e controlli sulle uve raccolte per cercare di capire i diversi esiti.
A questo progetto ne ha fatto seguito un altro che poggia su una base sociale più ampia. Non più il vigneto di un socio, ma quelli di 110 produttori per un totale di 70 ettari coinvolti collocati fra i 200 e i 400 metri sul livello del mare e rivolti verso sud-sudovest. I vigneti si trovano a Guardia Sanframondi, San Lupo, San Lorenzo Maggiore e Castelvenere, che sono i quattro comuni coinvolti nella sottozona Guardiolo Aglianico del Beneventano. Qui è stato fatto un intervento analogo a quello della terza parte del vigneto sperimentale (diradamento del 40% post invaiatura) per capire le espressioni dell’Aglianico in diverse situazioni ambientali. Una sperimentazione di queste dimensioni, con il coinvolgimento di un così ampio numero di soci, accade per la prima volta in Italia. «Nuove e vecchie generazioni si sono trovate di fronte alla necessità di cambiare il proprio modo di lavorare nella convinzione che solo così sarebbe stato possibile valorizzare il proprio territorio ed essere pronti per il futuro», ha spiegato Silvio di Lonardo, socio dal 1992, ma soprattutto parte del comitato tecnico per la gestione del Progetto Aglianico. «Sono molto orgoglioso di far parte del Comitato anche se il ruolo che rivesto con i miei colleghi non è semplice. Si tratta di un impegno in termini di tempo non indifferente! Però per me è stato bello vedere come le mie conoscenze viticole imparate solo sul campo e mai sui banchi di scuola, si siano potute arricchire con i suggerimenti che ci ha dato Cotarella».
Tutta la sperimentazione, coordinata per la parte operativa dal team di Riccardo Cotarella, è seguita passo dopo passo da un gruppo di produttori della Guardiense. «È stato importante convincere i soci della necessità di ridurre i grappoli in pianta per facilitare la vigoria delle nostre vigne oltre che di effettuare una capillare defogliatura programmata per garantire l’esposizione e la maturazione», ha precisato Giuseppe Conte, socio dal 1982 e membro del Comitato. «Tutti hanno capito che intraprendere questa strada era più che mai necessario, ma non solo, hanno accolto con entusiasmo i dettami del progetto. Ognuno di noi sa quante poche piante di uva rossa avessimo 15 anni fa e quanto fosse prezioso dare una svolta alla produzione di tali uve. Addirittura anche alcuni soci non coinvolti nel progetto hanno cominciato a chiederci informazioni e a effettuare il diradamento anche nei loro vigneti». Amato Sebastianelli, socio dal 1983 e membro del Comitato ci ha spiegato in cosa consiste farne parte: «Ogni settimana facciamo visita ai 110 agricoltori coinvolti, andiamo sul territorio, parliamo con loro, guardiamo i vigneti, redigiamo rapporti che poi facciamo avere allo staff di Cotarella».
Una volta vendemmiate le uve verranno sottoposte a due o tre diversi protocolli di vinificazione in cantina. «Vedere l’entusiasmo di 110 produttori ha fatto sì che tutti noi potessimo lavorare al meglio», ha detto Cotarella alle cui parole hanno fatto seguito quelle del presidente Pigna: «In questo modo i nostri soci sono ancora più uniti nella volontà di perseguire un comune obiettivo e non sto parlando solo di quelli coinvolti, ma anche degli altri che lo stanno vivendo come un’occasione di riscatto, una dimostrazione della possibilità di lavorare ad alti livelli».

 

La storia

Una sperimentazione Che coinvolge 70 ettari di vigneto nelle zone più vocate per l’Aglianico e impegna ben 110 soci che applicano alla lettera un rigido protocollo

Fondata l’8 marzo 1960 da 33 soci di Guardia coadiuvati da altri 200, nel 1963, alla sua prima vendemmia la Cantina Cooperativa vinifica 19 mila quintali di uva. I fondatori decisero di intraprendere questa strada per necessità, indebitandosi e mettendo nelle mani dell’incertezza tutti i loro averi. Per capirne le ragioni bisogna fare un salto indietro nel tempo. Il bacino vitato di Guardia Sanframondi è sempre stato florido tanto che qui gli abitanti erano tutti contadini, ma c’era un problema che attanagliava questa gente: l’indegna speculazione perpetrata dai mediatori e dai commercianti di uva ai danni degli agricoltori. Allora il raccolto veniva ammucchiato sulle aie in attesa della vendita e del caricamento. Ma a volte trascorreva lì dei giorni prima che qualcuno lo acquistasse e i contadini attendevano pazientemente l’arrivo di un automezzo. Spesso la retribuzione era ridicola e molto più spesso l’inveduto veniva comprato da qualche commerciante spregiudicato a prezzo stracciatissimo. Era avvilente per il contadino assistere a quell’umiliazione dopo un’intera annata di lavoro nei campi; tutti sentivano il bisogno di ribellarsi a quella schiavitù. I vigneti sempre meno remunerativi venivano abbandonati e le campagne si spopolavano. I più giovani sceglievano la strada dell’emigrazione verso Australia, America, Inghilterra, Svizzera, Belgio e Francia.
Questo fino a quando un politico, Ugo Di Blasio, e un viticoltore, Pasquale Falluto, capirono che per fronteggiare il problema, per impedire che un’intera struttura sociale si disgregasse, era necessario organizzarsi in una cooperativa agricola; ed ecco nascere La Guardiense. La gioia dei viticoltori fu immensa: per la prima volta si sentivano liberi di disporre se e quando effettuare la vendemmia avendo già prenotato il proprio conferimento in anticipo alla Guardiense. Il numero dei produttori cresceva e si estendeva anche ai comuni limitrofi.
La presenza della Cantina sociale è stata significativa sul territorio creando fin dai primi anni un’immigrazione di ritorno. Di questo ci hanno parlato due soci storici: Eneo Mancinelli, socio dal 1963 e Colangelo Giuseppe, dal 1971. «Prima della Guardiense vendevo la mia uva a piccoli commercianti di Napoli e non era redditizio», ci ha detto Mancinelli. «Nonostante non sia più giovanissimo, ho accettato con gioia tutti i cambiamenti: dai lavori manuali alle nuove tecnologie e mi sono sempre adoperato con entusiasmo e come me anche gli altri soci. Anzi, ci inorgoglisce sapere di lavorare per la qualità. Senza La Guardiense saremmo emigrati tutti. La Cantina sociale ci ha liberati da questo ricatto, ha creato in noi il senso dell’aiuto reciproco e della cooperazione per il bene comune».
«Ero socio parziale della Guardiense ed ero povero. Per questo ho deciso di vendere un po’ della mia uva a un mediatore. Ebbene, la notte prima della raccolta c’è stato un temporale e il mediatore ha deciso di non comprare più nulla. La Guardiense ha accolto anche quella parte del raccolto e per la mia famiglia è stata la salvezza», ha raccontato Colangelo.
«All’inizio la produzione era indistinta e il nostro obiettivo era solo ottenere quanto più prodotto possibile», ci ha raccontato Salvatore Garofano, vicepresidente della Cooperativa. «Poi i tempi sono cambiati e dall’inizio degli anni Settanta abbiamo cominciato a lavorare a vigneti specializzati togliendo quella promiscuità che avevano prima, mescolati a uliveti e ciliegi. Negli anni Ottanta ci siamo concentrati sul recupero dei vitigni storici con sistemi di allevamento meno espansi e impianti più fitti. Sono stati anche gli anni dell’impulso all’imbottigliato e al marchio. La svolta è arrivata negli anni Novanta, quando abbiamo cominciato a diversificare le nostre produzioni e a dare ascolto ai mercati dotandoci di tecnologie importanti per fare bianchi termocondizionati». Quattro anni fa alla Guardiense hanno cominciato a lavorare alla linea dei Janare, quella dedicata ai cru, hanno migliorato l’impianto di imbottigliamento e sostituto la linea degli Spumanti (importantissimi per La Guardiense, dato che nel 1986 è uscito lo spumante di Falanghina, uno dei primi in Campania) con una molto moderna. E oggi due grandi nomi della nostra enologia come Attilio Scienza e Riccardo Cotarella uniscono le loro forze per dare il via a un progetto dallo straordinario impatto emotivo, oltre che sociale e viticolo. Quando si dice che volere è potere.

 

La passione per la ricerca

Riccardo Cotarella

Mosso dall’amore per la ricerca, in 44 campagne vendemmiali, ho progettato e realizzato centinaia di sperimentazioni in vigna e in cantina. Studi realizzati per conoscere e toccare con mano le potenzialità dei nostri meravigliosi territori e delle nostre uve autoctone. I risultati sono stati spesso eccezionali, sempre comunque sorprendenti. Essi sono stati fondamentali non solo per la mia cultura personale ma hanno sempre costituito un punto fermo nella mia filosofia produttiva. Ma il progetto che stiamo attuando, anche con la preziosa collaborazione del professor Attilio Scienza, sull’Aglianico del Sannio alla Cantina Guardiense di Guardia Sanframondi, è senza dubbio, per ampiezza e profondità scientifica, tra i più importanti nonché il più coinvolgente.
Ben 110 produttori su complessivi 70 ettari di vigna rigorosamente ad Aglianico, hanno applicato, con la passione e l’entusiasmo di chi non vuole rassegnarsi a semplici ruoli di comparsa, un protocollo sperimentale molto impegnativo e rigido. Esso è finalizzato a rilevare l’influenza della riduzione della produzione naturale di uva per pianta, realizzata con differenti tecnologie e tempistiche, nonché la reazione della pianta e dei suoi frutti a una profonda anche se progressiva e differenziata operazione di defogliatura, al fine di esporre i grappoli alla diretta azione dei raggi solari. La successiva trasformazione delle uve, oggetto di diverse sperimentazioni, in vino, seguirà un protocollo identico al fine di accreditare ogni variazione dei risultati al lavoro in vigna e alla diversa esposizione, giacitura ed altitudine dei vigneti. I risultati, monitorati ed esaminati da una commissione tecnica di spiccato valore, saranno ufficializzati e pubblicati entro marzo 2012. Al di là del controllo di tutti i vigneti da parte di tecnici della mia équipe e di un gruppo di soci che si sono prestati a un’opera certosina per controllare l’esatta applicazione dei diversi protocolli, va riconosciuta ai produttori un’inusuale professionalità.
Molta attenzione è stata riservata anche all’analisi dei costi della sperimentazione convinto come sono che sia dovere di ogni tecnico non limitare il proprio contributo alla risoluzione dei problemi della produzione e a quelli della qualità, ma impegnarsi anche e soprattutto a ricercare le vie migliori per garantire ai produttori la giusta remunerazione al loro lavoro. Proprio per questo, nel rispetto della più razionale economia, la sperimentazione prevede il recupero e la vinificazione dei grappoli oggetto di diradamento. Essi costituiscono un’eccellenza per la produzione di vini base spumante, altro settore dove la Guardiense è già al top della produzione regionale. Sono convinto che alla fine del percorso, “La Guardiense” metterà a disposizione di tutti i viticoltori campani risultati e considerazioni che potranno aiutare a capire ancor meglio le grandi potenzialità di un’uva antica come l’Aglianico laddove può trovare un territorio ad essa vocato e produttori che non rinunciano mai alla ricerca del meglio.

Riccardo Cotarella


La forza dei gesti e il valore dei simboli

Attilio Scienza

L’atto del tagliare un grappolo immaturo da una vite o di mutilarlo in quelle parti che difficilmente raggiungerebbero il compimento dei processi di maturazione, è chiamato diradamento. Una pratica viticola che era sconosciuta fino a qualche lustro fa. Il gesto ha significati molto diversi: per l’enologo è un intervento importante per migliorare la qualità di un vino, per il comunicatore un messaggio al mercato che documenta la serietà del produttore, per il consumatore un valore positivo nelle sue scelte, ma per il produttore, soprattutto se socio di una Cantina sociale, assume un significato simbolico dai contorni ancestrali e dai contenuti quasi religiosi.
Il diradamento dei grappoli può essere omologato ad una sorta di “patto di sangue” che in primis lega tra loro i soci di una cooperativa. Da questi, il patto si estende ai consumatori. Il gesto assume un valore particolare in un momento di crisi che colpisce soprattutto i produttori di uva e in modo particolare coloro che operano nelle cantine sociali, nelle quali i processi di integrazione della filiera di norma si fermano alla produzione di vino sfuso che viene poi imbottigliato e commercializzato da altri. Malgrado ciò questi produttori di Aglianico della Cantina sociale La Guardiense hanno voluto trasformare la crisi in un’opportunità, dimostrando che uniti dalla forza della solidarietà, che si esprime nella condivisione del diradamento e quindi nella perdita significativa di una parte della produzione di uva, la creazione di un vino dalle caratteristiche inimitabili è l’unico modo per sconfiggere la difficoltà del momento. Il loro obiettivo è di arrivare con queste bottiglie di Aglianico direttamente al consumatore, senza altri intermediari, e di metterci la faccia. In questa parte della Campania, lontana dai circuiti turistici e dalla notorietà dei vini più famosi, questi viticoltori hanno conservato infatti i riti immutabili della potatura, della vendemmia manuale, della vinificazione e perpetuato i vitigni antichi. Per loro il diradamento è un atto contro la natura, una bestemmia nei confronti della sua generosità. Eppure in nome della fedeltà alla terra e sull’onore dei viticoltori, per garantire alle prossime generazioni un reddito dignitoso e difendere la loro identità, hanno compiuto il sacrificio del taglio prematuro dei grappoli. Lo hanno fatto perché hanno capito che nei giovani non c’è la memoria condivisa che è stata alla base della costituzione della Cantina Sociale molti anni fa e che questo conduce all’individualismo, il peggior nemico della solidarietà. Ecco quindi che il diradamento diviene il simbolo attorno al quale creare un nuovo luogo ideale di aggregazione.
La produzione di vino è un atto di verità, nel significato “di rendere visibile ciò che è invisibile”. Platone per spiegare cos’è la verità faceva questo esempio: un tavolo, una barca sono già nel legno, basta tirarli fuori, e per questo è necessario il lavoro dell’uomo che nella creazione dei manufatti compie un atto di verità, portando appunto alla luce ciò che prima era presente, ma nascosto. Il vino, con le sue qualità è già presente in un vigneto, l’enologo è il demiurgo che riesce, assieme ai viticoltori, a tirarlo fuori dall’uva e rende così visibile il lavoro di tanti agricoltori, pronto per il giudizio dei consumatori. Il valore dei simboli che accompagna il lavoro dei viticoltori della Guardiense è l’unico antidoto al rischio che spesso la verità non sia il “nascosto che si dispiega”, ma un’invenzione che tende a imitare con maggiore o minore successo qualcuno che è invece riuscito a coglierla, in virtù di una migliore capacità di assecondare la produzione di uva e di vino alla natura.
Questo importante percorso di ricerca e sperimentazione che la Guardiense sta portando avanti, diviene dunque il segno dell’amore per la materia nel profondo, per la conoscenza delle caratteristiche intrinseche dell’uva e delle potenzialità che essa può esprimere attraverso tecniche innovative di cantina con la curiosità di chi guarda al futuro senza dimenticare gli insegnamenti del passato.

Attilio Scienza

 

Sullo stesso argomento vedi anche l’articolo: I mille per l’Aglianico – La sperimentazione (2ª puntata)

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© Riproduzione riservata - 28/12/2011

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