Scienze Scienze Anita Franzon

Vino Bio: cominciamo dalla Barbera

Vino Bio: cominciamo dalla Barbera

Il biologico in viticoltura: se ne sente parlare molto (e da tempo), ma è utile fare chiarezza e interrogare esperti del settore capaci di dare nuovi spunti di riflessione. È questa l’esigenza che ha spinto Vite Colte a organizzare il convegno dal titolo “Bio: cominciamo dalla Barbera“. La serata di approfondimento si è svolta martedì 4 luglio all’enoteca regionale di Nizza Monferrato, luogo centrale per la produzione di Barbera, dove il presidente dell’azienda Terre da Vino – Vite Colte Piero Quadrumolo ha radunato relatori di alto profilo, che hanno attirato un folto pubblico di viticoltori.

Perché un convegno sul biologico

“L’idea di un convegno sul biologico è nata al Vinitaly”, spiega Daniele Eberle, responsabile vigneti di Vite Colte, che mostra come nella regione Piemonte, per esempio, l’attenzione verso questo tema sia in costante aumento: “le superfici vitate tra biologiche certificate e in conversione sono il 7%. Capofila è la provincia di Cuneo con il 10%”, afferma Eberle. L’agronomo ha ricordato anche che la viticoltura biologica non è un ritorno ai metodi di coltivazione di un tempo, bensì l’applicazione di nuove tecnologie con l’obiettivo di migliorarsi. Il progetto Vite Colte è iniziato nel 2004 e oggi tende alla formazione di un gruppo di tecnici capaci di trasferire l’innovazione tecnologica nel vigneto a maggior tutela della qualità del prodotto e nel rispetto dell’ambiente. La Barbera d’Asti Rossofuoco rappresenta il primo vino biologico dell’azienda, ma la sempre più grande sensibilità da parte dei consumatori verso questo approccio sta portando alla nascita di nuovi vini: “così abbiamo recentemente dato il via a una prima produzione di Nebbiolo d’Alba biologico. I tempi sono maturi per approfondire l’argomento”, conclude Quadrumolo.

Le sperimentazioni in vigna e il cambiamento di paradigma

Enzo Mesclachin è ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige dove, dal 2011, 3,5 ettari di vigneti sono coltivati seguendo diverse impostazioni: dal convenzionale, al biologico e biodinamico. “In questo modo possiamo fare confronti tra le diverse agricolture”, spiega Mescalchin. Dati alla mano, i risultati migliori sembrano essere quelli delle coltivazioni biologiche e biodinamiche. “Con l’agricoltura attuale ogni anno perdiamo un po’ di sostanza organica nei nostri terreni, che sono sottoposti a numerosi fattori di stress, come il sempre più forte compattamento”, aggiunge il ricercatore, che prova a dare alcuni spunti per risolvere il problema: “servono piccoli accorgimenti pratici per invertire la rotta altrimenti, se gli apparati radicali delle nostre piante non saranno più in grado di scendere verticalmente e in profondità nei terreni, come potremo ancora parlare di terroir?”. Infine Mescalchin auspica un vero e proprio cambiamento di paradigma attraverso un approccio all’agricoltura diverso da quello che gli agricoltori hanno appreso sui banchi di scuola.

Meno interventismo, più conoscenza

“La fermentazione acetica segue quella alcolica e precede quella putrida: il vino naturale non esiste. Vincenzo Gerbi, enologo e docente universitario al Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino entra nell’argomento a gamba tesa. Il processo fermentativo richiede necessariamente la mano dell’uomo”, insegna Gerbi, che prosegue così: “dobbiamo, dunque, usare l’intelletto e abituarci all’eco-sostenibilità con interventi tempestivi, leggeri, guidati da grandi informazioni tecniche. Per questo motivo, per intervenire in misura minore in cantina sono necessarie conoscenze in enologia e microbiologia”. Sulla stessa linea del precedente relatore, il professore crede fermamente che sia indispensabile una rielaborazione del pensiero, ovvero un cambio di mentalità, e puntualizza come il biologico sia una fase di passaggio verso una sostenibilità generale, ovvero un processo che dovrebbe riguardare tutta la filiera.

La diffusione dei Bio-distretti

Sulla base di una sostenibilità allargata, che riguarda tutti – dagli agricoltori, ai cittadini, agli amministratori pubblici – sono nati i Bio-distretti, o Eco-regioni, territori naturalmente vocati al biologico. Salvatore Basile, presidente della Rete Internazionale dei Bio-distretti, ha dimostrato come questa nuova attenzione al biologico sia strettamente connessa al territorio, anche in termini di immagine e, di conseguenza, di turismo eco-sostenibile. In Italia 51 territori di 19 regioni sono coinvolti in esperienze di biologico territoriale. “Il concetto è semplice come tutte le rivoluzioni più importanti”, afferma Basile. Il patto stretto tra tutti gli attori – chi produce, chi consuma e le amministrazioni pubbliche – è necessario per la buona riuscita di un Bio-distretto, perché senza collaborazione non ci può essere sostenibilità.

Il punto di vista del consumatore

La poca conoscenza e chiarezza e, probabilmente un’errata comunicazione hanno creato diffidenze o, al contrario, vere e proprie sette di fanatici del bio. “Ragioni per cui il biologico è arrivato al consumatore come una moda e con grande confusione”, ammette Fabio Gallo, presidente dell’Associazione Italiana Sommelier Piemonte. Sempre più spesso capita di incontrare carte dei vini o locali totalmente votati al biologico, esistono anche alcune distribuzioni strettamente legate a soli produttori biologici. Il messaggio che passa non è, però, sempre quello corretto. Anche in questo caso, secondo quanto affermato da Gallo, sarebbe utile riuscire a informare il consumatore con più chiarezza e meno fronzoli e ricordargli di non perdere di vista un dettaglio importante: “che sia da produzione integrata, biologico o biodinamico, il vino deve essere buono”.


© Riproduzione riservata - 06/07/2017

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