In Italia In Italia Jessica Bordoni

La nuova Elba del vino ritrova l’antica vocazione

La nuova Elba del vino ritrova l’antica vocazione

La Doc Elba risale al 1994 e nel 2011 si è aggiunta la Docg per l’Aleatico Passito – Il mercato, ancora locale, è in fase di rilancio – Fattoria delle Ripalte, Arrighi, Acquabona e Montefabbrello: quattro aziende diverse per storia e dimensioni ma con la stessa cura per la qualità e voglia di fare

Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia definisce l’Elba insula vini ferax, isola feconda di vino, e ancora oggi questa perla della Toscana è conosciuta per la sua produzione enologica che, dopo un periodo di abbandono e stagnazione, in questi ultimi anni sta finalmente vivendo una fase di promozione e rilancio.
Molte Cantine si sono attrezzate per proporre etichette selezionate, puntando tutto sulla qualità e valorizzando le antiche tradizioni isolane. In particolare, la nuova Elba vinicola si sta concentrando sui suoi numerosi vitigni autoctoni: dall’Ansonica all’Aleatico, passando per il Vermentino, il Procanico e il Moscato. Il mercato è ancora di nicchia: sostanzialmente locale (ristorazione e vendita ai turisti) e tuttalpiù regionale; tuttavia alcune aziende hanno in progetto di allargarsi a una distribuzione nazionale.
Al vertice della piramide produttiva c’è la Docg Aleatico Passito dell’Elba, primo vino delle nostre “piccole isole” a conquistare la Garantita. Il lungo iter che ha portato al riconoscimento si è concluso all’inizio di quest’anno e la prima vendemmia coinvolta sarà quella del 2011, con immissione delle etichette sul mercato dal primo marzo 2012. Quanto alla Doc Elba, in vigore dal 1994, al suo interno si distinguono ben 12 specifiche: Bianco, Rosso e Rosso Riserva, Rosato, Aleatico, Ansonica e Ansonica Passito, Moscato, Spumante, Vin Santo, Vin Santo Riserva e Vin Santo Occhio di Pernice. Secondo i dati forniti dal Consorzio di tutela Vini Elba Doc, che annovera 39 produttori, gli ettari iscritti all’albo della Doc sono 170 per 140.000 bottiglie all’anno.
Quali strategie stanno adottando le Cantine isolane per migliorare la produzione e potenziare gli standard qualitativi? Per capirlo abbiamo visitato alcune delle realtà vinicole più significative.

Piermario Meletti Cavallari della Fattoria delle Ripalte di Capoliveri

Il nostro giro comincia nel territorio di Capoliveri, all’altezza della Costa dei Gabbiani, un promontorio a macchia mediterranea al cui interno sorge la Fattoria delle Ripalte (www.fattoriadelleripalte.it; tel. 0565.94.211): 450 ettari tra boschi, frutteti, vigneti, ma anche hotel, appartamenti in ville e tenute, campi da tennis, ristoranti e, come suggerisce il nome, oltre dieci chilometri di coste dove nidificano a migliaia i gabbiani reali.  L’imponente progetto, che coniuga hospitality e viticoltura, è la recente scommessa di Piermario Meletti Cavallari, ex patron di Podere Grattamacco a Bolgheri, e dell’imprenditore Pietro Alberto Ederle, che nei primi anni Duemila hanno rilevato l’ottocentesca villa patronale del conte Tobler e i suoi terreni. Nel 2003 sono stati impiantati gli attuali 13 ettari di vigneti (per poi raggiungere i 15), più della metà ad Aleatico. L’obiettivo di Meletti Cavallari è infatti dichiarato: rilanciare il passito dell’Elba su scala italiana, puntando anche all’estero. Lo scorso maggio è stata inaugurata la nuova, funzionalissima Cantina. A firmare il progetto è l’architetto Tobia Scarpa, che ha realizzato un edificio a forma di parallelepipedo, ricoperto da pietra di granito e perfettamente “mimetizzato” nell’ambiente. La struttura, costata quasi 4 milioni di euro, è organizzata su tre livelli collegati tramite ascensori, tunnel e zone carrabili per il passaggio dell’uva.
La produzione è di 65.000 unità di cui 15.000 mezze bottiglie di Aleatico Passito da uve del vigneto Poggio Turco, esposte a sud in prossimità della costa e lasciate essiccare all’aria aperta sul terrazzo della Cantina. Il nome dell’etichetta conferma la voglia di cimentarsi con un vino difficile sia da produrre sia da far conoscere: Alea Ludendo, giocare ai dadi, tirare con la sorte. Dalle vinacce della stessa varietà nasce anche una grappa, per ora in un numero quasi familiare di 300 bottiglie. In gamma c’è poi un Vermentino, Igt Toscana, 12.000 bottiglie: «Il Trebbiano non mi interessava e avevo esperienza sul Vermentino. L’Elba ha un terreno granitico, minerale, in cui questo bianco si adatta benissimo», ci spiega Meletti Cavallari, confidandoci anche la natura di quel 5% di uve complementari che si uniscono al 95% di Vermentino: Petit Manseng. Quanto al Rosso delle Ripalte, si è pensato a un’alternativa al Sangiovese: il mediterraneo Grenache, a cui si aggiunge del Carignano «con fermentazioni e macerazioni brevi per evitare che risulti troppo maschio», precisa il titolare. Gli chiediamo un bilancio di questi primi anni d’avventura elbana: «Vedere crescere una vite da zero tra i pezzetti di roccia è sempre un’emozione. Abbiamo forse esagerato con l’Aleatico perché poi bisogna venderlo, ma il mio è proprio un grande amore e sono fiducioso».

Antonio Arrighi dell'omonima azienda di Porto Azzurro

Ci spostiamo a Porto Azzurro, in località Pian del Monte, dove ha sede l’Arrighi (www.arrighivigneolivi.it; tel. 335.66.41.793), produttrice di vino fin dall’inizio del Novecento. Oggi al timone c’è Antonio, che con franchezza sintetizza la situazione: «Per questo mestiere ci vuole passione, e qui all’Elba in particolare, viste le condizioni ambientali proibitive che rendono la “viticoltura eroica”». L’azienda possiede 9 ettari di cui 6 vitati e le bottiglie sono circa 15.000. Proseguendo coi numeri, sei è quello delle etichette in commercio suddivise in due linee: una  degli autoctoni e una più “sperimentale”, che testimonia la volontà di impegnarsi con vitigni differenti. Dalla prima nascono il Procanico, Igt Toscana; Ilagiù, un Elba Doc da Procanico, Ansonica e Biancone così chiamato in onore delle due figlie di Antonio, Ilaria e Giulia; e, dulcis in fundo, l’Aleatico dell’Elba Passito, mantenuto a una resa bassissima. La gamma più innovativa comprende invece il Tresse, blend di Sangioveto, Syrah e Sagrantino, che è stato vinificato per la prima volta nel 2006 e costituisce «la prima sperimentazione in assoluto di Sagrantino sull’Elba», come afferma orgoglioso Arrighi. Gli impianti risalgono al 2001 e il vino ha visto la luce a partire dal 2006. Si prosegue con il Centopercento, Elba Rosso da Sangioveto di vigne che hanno più di 25 anni, vinificato in vasche d’acciaio senza processi di stabilizzazioni a freddo o filtrazioni. «Per ora le quantità restano limitate, sulle 4.000 bottiglie, ed è immancabilmente il primo ad andare esaurito». Da ricordare anche Eraora, Igt nato dall’unione di Chardonnay e Manzoni bianco con aggiunte di Riesling e Pinot bianco, che vanta altri due primati (sempre orgogliosamente spiegati dal tuttofare Antonio): è stato il primo esempio di barrique sull’isola nonché la prima sperimentazione di uve Manzoni bianco. «Gli ultimi vent’anni hanno visto un netto miglioramento della qualità», conclude il titolare, «nell’Ottocento gli ettari vitati erano 5.000, le colline erano disegnate dai vigneti e ovunque sull’isola c’erano filari. Alla fine degli anni Settanta del Novecento gli ettari si erano ridotti a 100: è subentrato il turismo, la viticoltura ha smesso di essere redditizia e perciò abbandonata. Oggi i terreni a vite sono in aumento, ma c’è ancora da fare».

Lorenzo Capitani, uno dei titolari dell'Acquabona di Portoferraio

Proseguendo in direzione di Portoferraio s’incontra Acquabona (www.acquabonaelba.it; tel. 0565.93.30.13), nome della località e di una delle aziende vinicole più estese: 16 ettari di cui più di 14 vitati e 100 mila bottiglie all’anno. La raccolta è esclusivamente manuale e la Cantina aderisce al Programma europeo di riduzione dell’impiego di fitofarmaci. I tre titolari, Lorenzo Capitani, Marcello Fioretti e Ugo Lucchini, sono anche agronomi, con la consulenza di Marco Stefanini. La loro impresa è cominciata 25 anni fa e sono stati tra i pionieri della nuova viticoltura elbana, indirizzandosi su vini più morbidi e delicati con una meticolosa cura per la qualità. In commercio una decina di etichette, tra rossi e bianchi. Il cavallo di battaglia è l’Elba Bianco Doc, che con le sue 35.000 bottiglie costituisce la prima proposta ai clienti. Cifre di un certo rilievo anche per il Rosso (15.000), a cui segue la Riserva (4-8.000) e il Rosato, da uve Sangioveto con aggiunta di Merlot e Syrah, che inaspettatamente ha riscosso un buon successo: «Non si fanno molti rosati dell’Elba e il nostro fortunatamente piace. Siamo sulle 7.500 unità», segnala Lucchini. Tra i prodotti anche due monovarietali: un Vermentino e la novità Benvenuto, solo Merlot, nato tre anni fa. «Bisogna però snellirlo ancora», confida Capitani, «per renderlo più abbinabile. In generale, Vermentino e Merlot si sono adattati benissimo, con piante vigorose e frutto sempre splendido». (A proposito di vini in purezza, merita di essere citato anche Oglasa, Syrah Igt Toscana dell’Azienda Cecilia di Campo dell’Elba di Lorenzo Signorini, seguita dall’enologa Barbara Tamburini. La produzione è di 5.000 bottiglie).
A Capitani chiediamo poi dei due pezzi forti, gli autoctoni Ansonica e Aleatico passiti. «La nostra Ansonica, 6.000 bottiglie a vendemmia, è vinificata in maniera moderna e non nascondo che i primi anni abbiamo avuto qualche problema con la durevolezza. Quanto all’Aleatico, fino a non molto tempo fa aveva la nomea di vino di pessimo gusto. E questo perché il 98% di quello proposto al turista era fasullo. Oggi fortunatamente il vino tipico dell’isola è riconosciuto per il suo valore. Il nostro Aleatico Passito Naturale proviene da un vigneto con una densità per ettaro di 5.500 ceppi; ogni pianta rende poco più di un chilo. L’appassimento avviene all’interno di una serra ventilata, riprendendo l’antica tecnica. Seguono la fermentazione in acciaio e l’affinamento in legno. Le bottiglie, da 0,375 litri, sono 2.000 all’anno». Quanto al versante commerciale? «Con produzioni così ridotte il mercato resta perlopiù quello dell’isola. Ma qualcosa raggiunge la terra ferma e si spinge anche all’estero. Abbiamo richieste – piccoli quantitativi, s’intende – da Inghilterra, Germania, Svizzera e l’Aleatico va anche in Norvegia», chiosa Capitani.

Dimitri Galletti della Montefabbrello di Portoferraio con la sua Ansonica “zampicata nel palmento”

Il tour prosegue in località Schiopparello a Portoferraio, dove ha sede la Montefabbrello (www.montefabbrello.it; tel. 0565.94.00.20), tra le più piccole realtà vinicole isolane: 5 ettari a vigneto e 40.000 bottiglie suddivise in 12 etichette. Dal Duemila la direzione è affidata alle cure di Dimitri Galletti. Le uve sono quelle dei vitigni tradizionali, Ansonica in primis, proposta nella tipologia ferma, passita e, dal 2009, anche “zampicata nel palmento”, secondo l’antica pigiatura con i piedi. Nessuna correzione, o aggiunta di lieviti e solfiti, la tecnologia è assolutamente bandita. La sfida è cominciata nel 2009 e la distribuzione era di 500 bottiglie. Con grande sorpresa, l’esperimento si è rivelato un trionfo: anziani e giovani a fare la fila per provare la zampicata. Nel 2010, raddoppiamento delle cassette d’uva e un migliaio di bottiglie. Con la vendemmia 2011 si punta a triplicare. «L’idea è dell’enologo Marco Stefanini e nasce dalla volontà di ritornare ai vini naturali, riaccostandosi all’antica festa dell’ultimo giorno di vendemmia. La resa è del 40-45% e il volume alcolico è di 13º», puntualizza Galletti.
La gamma di etichette comprende anche i bianchi Doc Le Giuncaie e Contessa Cantori, il Vermentino Trasassi, il rosato Poggio Birbante, il Rosso dell’Elba Poggio alle Lenze, la Riserva Bonfiglio e l’Igt Sussurro del Vignaiolo. Conclude la serie la triade dei passiti, Ansonica, Aleatico e Moscato, che a breve dovrebbero però diventare quattro. C’è infatti in cantiere un Vinsanto Occhio di Pernice, blend di Sangiovese e Trebbiano della vendemmia 2006, che attualmente riposa in piccoli caratelli e che verrà presentato nel 2012, dopo i sei anni d’invecchiamento. «Sarà il primo Occhio di Pernice della provincia di Livorno», ci segnala il proprietario, che poi sentenzia, congedandoci: «È la passione che fa la differenza, e serve il gioco di squadra. Per noi dell’Elba l’autoctono è l’unica strada percorribile. E se il Procanico è il vino della quantità, l’Ansonica è il vino del rabbocco. A vincere è la terra e il bello è proprio questo, la territorialità».

La festa dell’uva di Capoliveri

Nel 1996 i membri dell’associazione Verdi di Capoliveri hanno deciso di riprendere le antiche celebrazioni di fine vendemmia di Portoferraio. È nata così la Festa dell’uva di Capoliveri, spettacolo di piazza (nelle foto sotto) in programma dal 30 settembre al 1˚ ottobre 2011 che richiama migliaia di persone da tutta l’Elba e non solo. I quattro rioni del vecchio borgo che si contendono il Trofeo Bacco sono il Baluardo (che corrisponde alla parte più avanzata dell’antico castello), la Fortezza (il vecchio cuore del castello, la zona più sicura in caso di attacchi pirateschi), il Fosso (che circondava le mura) e la Torre (il punto più alto, dove si ergeva un torrione di avvistamento). Ogni contrada svolge il tema della vendemmia con allestimenti storici e scene in costume dialogate in vernacolo.

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© Riproduzione riservata - 16/09/2011

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