Il nuovo vino “italieno”

Il nuovo vino “italieno”

Come accade sovente ci troviamo a Hong Kong, in un ristorante italiano: buona cucina, clientela internazionale, carta dei vini piuttosto spessa. Come sempre succede, scorriamo le pagine alla ricerca di una suggestione con quel senso un po’ nostalgico da emigrati part time, in volo cento giorni l’anno. Stampigliato in oro, su pelle nera, campeggia l’intestazione: Italien wines.

LA CARTA DI UN RISTORANTE DI HONG KONG – Dalla Toscana, una buona selezione: il Brunello di Argiano, il Nobile di Avignonesi, due Chianti Classico di alta qualità, Dievole e Arceno, un moderno vino toscano di Capalbio, il Monteverro. Tra i piemontesi, una scelta sorprendente di due denominazioni dell’Alto Piemonte promosse dalla passione di pochi eroici viticoltori: il Boca delle Piane e il Gattinara di Nervi. Immancabile l’Asti della Gancia. Altre proposte, purtroppo, sono del tutto sconosciute: il Barolo Rosa del pensiero e l’Amarone Seta del Nordest. Che cosa sono? Tentati dall’ignoto ordiniamo quest’ultimo. Un Amarone Classico corretto e senz’anima. Ci spiega il sommelier che proviene dalla zona più tipica, da vigneti di pianura recentemente ammessi nella Denominazione, per questo si acquista a un prezzo più basso e si può proporlo al cliente a una cifra equa, persino conveniente.

PROSECCO=SPUMANTE – Questa carta, alla fine, si rivela un incubo: alla voce Prosecco leggiamo una miscellanea di bollicine da far accapponare la pelle, due Franciacorta, un Trentodoc, due Valdobbiadene Docg e quattro Prosecchi di tre regioni differenti, più uno brasiliano. Il sommelier, a questo punto, si mostra un po’ imbarazzato: le bollicine qui si chiamano tutte genericamente Prosecco, ci dice.

I GRANDI ASSENTI – Ma dove sono i miti dell’enologia italiana? Scorriamo su e giù. Al simpatico sommelier che mastica due parole di italiano domandiamo dove siano i grandi nomi. Assenti. La crisi li ha resi proibitivi in un ristorante di livello medio, non elitario. Le Cantine che hanno aperto ogni strada al vino italiano ora sono perle rare. Concorrono con gli Châteaux di Francia nelle wine-list dei ristoranti di lusso, ma costano sempre uno zero di meno.

LE TENDENZE – Domandiamo al sommelier di correggere almeno la svista ortografica: non Italien, altresì Italian wines. Invece no. Italien è corretto, ribatte. Ripercorriamo la carta avanti e indietro… «È perfettamente italiena! Forse lei non conosce la nuova tendenza». Onestamente, no. Ma rileggiamo i nomi di Toscana, di Montalcino e del Chianti, del Piemonte. Avete notato? Hanno qualcosa in comune: non c’è una sola azienda di proprietà italiana, anche se sono ottime etichette, frutto di passione e di conoscenze forse maggiori rispetto a quelle di molti vignaioli nostrani. Sono terreni di brasiliani, panamensi, americani, svizzeri, svedesi, russi…

LE NOSTRE CANTINE IN MANO STRANIERA – Sappiamo che recentemente il finanziere brasiliano Andrè Santos Esteves ha acquisito Argiano, una delle più importanti aziende di Montalcino. L’argentino Alejandro Pedro Bulgheroni ha rilevato 15 ettari di vigne dalla Fattoria dei Barbi e nel Chianti Classico la Tenuta di Dievole, mentre l’armatrice belga Virginie Saverys, è la nuova proprietaria della Avignonesi di Montepulciano. Kathrine ed Erling Astrup sono norvegesi e hanno comprato la Nervi di Gattinara nel 2009 per salvarla dalla rovina. A Boca, poco distante, storia simile, di recupero e passione, per Le Piane di Christoph Künzli dal 1998. Sul litorale toscano la Monteverro è della famiglia Weber, la Tenuta di Arceno, da lungo tempo, di Jess Jackson e Barbara Banke. Dobbiamo ringraziare chi ha creduto e investito nelle vigne del nostro Paese.

LE NON-MARCHE – Gli altri vini in carta, quelli sconosciuti, sono frutto di sconsiderate politiche al ribasso. Quando una Denominazione o una Regione acquisisce ampia notorietà, come tre o quattro in Italia, dal Prosecco al Barolo all’Amarone, le marche patiscono la concorrenza delle non-marche e di una qualità minima ceduta a prezzo infimo.

IL CONFRONTO – Storia triste e normale. Allora sì, ecco una carta perfettamente italiena. Lontana anni luce da quella che potevamo immaginare trent’anni fa, quando i nostri pionieri della qualità combattevano per rosicchiare ai francesi una fettina del mercato di qualità. Ora le leggende della nostra enologia si confrontano ogni giorno con gli italieni in una guerra civile molto più dolorosa, tra milionari che acquistano i migliori cru in saldo ed etichette fantasma che nascono per sfruttare le tendenze di mercato senza storia, né gusto, ma a un prezzo allettante. Si tratta dei nuovi vini italieni, alcuni eccellenti, da applaudire, e parlano con accento straniero; altri pessimi, frutto di spregiudicate tattiche mercantili. E, purtroppo, molti di questi machiavellici imprenditori sono italiani veri, non italieni.

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© Riproduzione riservata - 07/06/2013

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