Senza confini Senza confini Emanuele Pellucci

Il Prosecco della Nuova Zelanda

Il Prosecco della Nuova Zelanda

In principio a plagiare il Prosecco furono i tedeschi. Ed è anche comprensibile, vista la loro consolidata sintonia con il Veneto grazie alle spiagge dell’Adriatico, ai vini della Valpolicella e di Soave e alla loro propensione per i bianchi, specie se frizzanti. Ancora oggi, sebbene la denominazione Prosecco sia tutelata a livello europeo, i produttori tedeschi continuano a sfornare bollicine con nomi simili, tanto per far capire ai consumatori che la tipologia è proprio quella del tanto amato Prosecco italiano. Adesso ci si mettono anche le aziende neozelandesi, sulla scia dei loro vicini australiani che già da tempo commercializzano vini con il nome, papale papale, di Prosecco. La notizia è di questi giorni. Il winemaker Steve Voysey, proprietario dell’azienda Spade Oak Vineyard nella zona di Gisborne (parte nordorientale della Nuova Zelanda), ha annunciato che nei prossimi due anni pianterà 160 ettari della varietà Glera con l’obiettivo di produrre Prosecco.

Dopo l’Australia anche la Nuova Zelanda produce Prosecco

Le barbatelle, provenienti da Vivai Cooperativi Rauscedo (clone VCR101), sono state coltivate in Australia dopo quattro anni di quarantena ed innestate dai vivai Riversun di Gisborne. Voysey ha dato vita, insieme all’agronoma Susan Wheeler, a una società denominata Prosecco NZ invitando nel contempo altre cantine interessate a produrre Prosecco a mettersi in contatto con lui. Insomma, l’intraprendente vignaiolo neozelandese è intenzionato ad aggredire il mercato, non solo locale, con le “nostre” bollicine che negli ultimi anni hanno tenuto in vita l’export italiano. Nella zona di Marlborough, sempre in Nuova Zelanda, c’è già una cantina che commercializza Prosecco, ma in realtà si tratta di un vino “Prosecco style” ottenuto da Riesling, Müller Thurgau e Pinot Grigio.

Accordi bilaterali per la tutela delle denominazioni

Ma come la mettiamo con la protezione della denominazione? Purtroppo la convenzione di Lisbona del 1958, cui spesso di fa riferimento in questi casi, non ha tra i Paesi firmatari (appena 28) né la Nuova Zelanda, né l’Australia, né tantomeno gli Stati Uniti e molti altri ancora. Per fortuna ci resta l’Europa! L’unica possibilità al momento viene perciò dagli accordi bilaterali e dalla registrazione del marchio nei singoli Paesi, politica che in effetti il Consorzio Prosecco Doc da tempo sta portando avanti. Un primo risultato positivo riguarda l’accordo tra Unione Europea e Usa, Canada e Russia. Steve Voysey, perciò, può dormire sonni tranquilli visto che nel 2013 perfino l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha sentenziato che i produttori australiani e neozelandesi hanno il diritto di produrre Prosecco e venderlo come tale anziché definirlo come “vino spumante ottenuto da uve Glera”. Naturalmente né lui né le altre cantine di quei Paesi potranno commercializzare il loro Prosecco all’interno dell’Unione Europea, a meno che non rimuovano dall’etichetta la parola incriminata.

Il commento del Consorzio Prosecco Doc

«¢È vero che Prosecco costituiva una varietà», commenta il direttore del Consorzio, Luca Giavi, «ma è altrettanto vero che nell’immaginario collettivo dei consumatori internazionali il Prosecco è un vino di origine italiana: proprio per questa ragione abbiamo chiesto ed ottenuto l’IG nel 2009. Ora, se i produttori neozelandesi ed australiani, che per anni e, in alcuni casi ancor oggi, hanno utilizzato il termine Prosecco per imbottigliare vino ottenuto da altre uve, intendono far ricorso alla varietà per indurre in errore il consumatore circa l’origine di questo prodotto, lo facciano pure. Noi, come loro, ci attiveremo presso tutte le sedi per ribadire le ragioni di una trasparenza e di una correttezza nei confronti dei consumatori che loro sembrano invece voler calpestare. Mentre il nostro sistema produttivo è fatto di piccoli produttori (oltre 10 mila) per una superficie media di circa due ettari, loro investono a suon di centinaia di ettari ad azienda: la questione del nome della varietà, a questo punto, ci sembra unicamente un pretesto per speculare su un successo tutto italiano! Come ha già detto qualcuno: sarà legale, ma non è corretto».

Il Prosecco in cifre

Attualmente la superficie coltivata per la produzione del Prosecco è di 20.250 ettari che nel 2015 hanno prodotto circa 360 milioni di bottiglie, con una quota dell’export del 72% avendo come principali mercati esteri la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania. Leggermente calato, dal 30 al 28%, il consumo domestico.

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© Riproduzione riservata - 29/02/2016

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