Viaggio dietro le quinte di Ornellaia

Viaggio dietro le quinte di Ornellaia

Trasparenza, questa sconosciuta nel mondo del vino. Normalmente va di scena la dissimulazione. Se la barrique passa di moda, sparirà dai discorsi in salotto. Oppure sarà sempre “di secondo passaggio”, insignificante. Un plauso dunque al winemaker che non si nasconde dietro al velo incerto delle mode e che ostenta sicurezza sul proprio modo di intendere il vino. Sicurezza, e non sicumera. E il coraggio di confrontarsi. Grande prova, quindi, quella di Axel Heinz, direttore tecnico di Ornellaia, che lunedì 15 maggio ha invitato ristoratori e giornalisti (che coraggio!) ad assaggiare insieme a lui alcuni vini base che compongono il blend 2015 di Ornellaia, ora assemblato e in affinamento.

La scommessa dell’enologo

Circa cinque mesi fa, infatti, piccole quantità di queste basi sono state imbottigliate a parte, per mostrare come nasce, nel retroscena, un’etichetta dalla forte identità. Ora sul mercato troviamo l’annata 2014, denominata L’Essenza secondo l’idea di cercare per ogni millesimo una sintetica definizione. Annata impegnativa, certamente. E L’Essenza è, ancora una volta, una dichiarazione di onestà, per dire che in vigna, quell’anno, hanno dovuto sacrificare molto, e in cantina selezionare allo spasimo, per mantenerne l’intenso spirito di Ornellaia. «Nelle annate difficili», spiega l’enologo di scuola bordolese Axel Heinz, «riscopriamo i vigneti che costituiscono l’ossatura del vino».

 

 

Merlot, Cabernet, Petit Verdot sono gli attori in scena

Alcuni di essi sono qui davanti a noi, numerati da uno a nove. L’emozione è quella di un uomo alle prove di uno spettacolo importante, dove si smonta il capolavoro, ma resta l’umanità degli attori che incarnano il senso più profondo del testo, ciascuno con la spiccata personalità del suo personaggio.
In scena compaiono il poeta di corte vestito di drappi damascati, messer Merlot; il capriccioso, raffinato principe Cabernet Franc, in cerca di gloria, e il re Cabernet Sauvignon, patriarca austero e autorevole. Apparentemente comprimario, il Petit Verdot, l’introverso ma concreto architetto di corte, che conosce le fondamenta necessarie a un imperituro edificio.

L’armonia è la chiave di tutto

E se la corte riunita appare coesa e completa, presi singolarmente i personaggi svelano le proprie mancanze: al poeta manca il piglio del monarca, a questi la carezza della poesia, al principe la forza serena del padre. A tutti loro, serve un pavimento solido sul quale muoversi, ma un piedistallo senza colonna è pur sempre noioso. Il bello è che, trattandosi di attori, questi vitigni in realtà si comportano diversamente in ambienti differenti.

Le espressioni di Bellaria Ginestraio, Olivino e Ornellaia

Il Merlot del vigneto Ginestraio, ad esempio, che si trova a 110 metri sul livello del mare, è più esposto alla brezza marina e giace su terreni argillo-sassosi su substrato calcareo, che contribuiscono a rendere il vino morbido, ma concentrato e maturo, il quale non manca di vivacità e di tensione, accompagnate da un finale sapido. Il Merlot di Bellaria, invece, tra i primi impiantati (1991, 26 anni) rende un liquido vermiglio così fitto e vibrante da poter sostenere barrique totalmente nuove (contro il 50% del Ginestraio) e sprigiona note di cioccolato, ribes nero, composta di lamponi. Non è più muscoloso, ma più bilanciato e complesso.

 

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 3/2017. Per continuare a leggere acquista la rivista sul nostro store (anche in formato digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 21/07/2017

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