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Quotidianità e poesia. Il consumo di vino in Italia

Quotidianità e poesia. Il consumo di vino in Italia

Di Luciano Ferraro

 

“Me so’ ’mbriacato de ’na donna/ quanto è bbono l’odore della gonna/ quanto è bbono l’odore der mare/ ce vado de notte a cerca’ le parole”. La voce roca di Alessandro Mannarino arriva dal Bar della rabbia, l’album d’esordio, stornelli romaneschi adagiati sui ritmi balcanici alla Goran Bregović. A suo modo, racconta l’Italia del vino: più poesia artigianale che affare (nel bene e nel male).

Il vino è abitudine, fa parte della vita e aiuta a narrarla, diventa metafora per descrivere un umore o un amore. Dai tempi della Divina Commedia (Purgatorio, canto XXV, 76-78): “E perché meno ammiri la parola,/ guarda il calor del sol che si fa vino,/ giunto a l’omor che de la vite cola”. Il vino italiano è interclassista, si fa largo nei palazzi del potere e nelle borgate.

Il primato di Parigi

Non bastassero cantastorie in musica e versi, c’è una nuova classifica che indica perché l’Italia è un caso unico al mondo per quanto riguarda il vino. È la classifica sulle città del mondo che ne bevono di più, elaborata dal Wine & Spirit Institute della Inseec Business School (Institut des hautes études économiques et commerciales), che ha sedi a Parigi, Bordeaux, Beaune e Londra. Calcola gli abitanti delle aree metropolitane sopra i 15 anni (e non il numero dei residenti), e li incrocia con il numero di ettolitri consumati (includendo quindi anche le bottiglie aperte e comprate dai turisti). La città più enoica è Parigi, con 5,2 milioni di ettolitri l’anno per una popolazione di potenziali consumatori pari a 10,1 milioni di persone e un consumo pro capite annuo, quindi, di 51,7 litri.

Le dieci città più enoiche del mondo

Al secondo posto Buenos Aires, con 3,4 milioni di ettolitri per 10,6 milioni di persone (32,1 litri l’anno pro capite). Al terzo posto l’area tedesca della Ruhr (che comprende tra le altre le città di Essen, Dortmund, Duisburg) con 2,8 milioni di ettolitri. Poi Londra con 2,7 e New York con 2,3. E poi le città italiane, Milano al sesto posto (2,2 milioni), Napoli all’ottavo (1,4) e Roma al decimo (1,3). Per Milano, comprendendo l’hinterland, è stata calcolata una popolazione oltre i 15 anni di 5,8 milioni di persone, per Napoli di 3,6 e per Roma di 3,4.

Beviamo 38,8 litri di vino all’anno

Le tre città hanno totalizzato un dato identico quanto a consumo annuo pro capite: 38,8 litri l’anno. Se la classifica fosse stata stilata con questo parametro come base primaria di riferimento, Milano, Roma e Napoli sarebbero quindi posizionate a pari merito al secondo posto dopo Parigi. Cosa significa? Che da Nord a Sud si beve ovunque, allo stesso modo. Forse perché anche il vino, come la cucina, è un insieme federalista. Ogni regione ha una propria identità vinicola, e un consumo locale radicato nel palato e nella memoria di ogni famiglia, a volte diverso da campanile a campanile. Una copertura totale del territorio che non ha eguali al mondo.

Il consumo di vino in Italia è omogeneo

Uno degli uomini più potenti nel pianeta del vino, Richard Geoffroy, chef de cave di Dom Pérignon, lo ripete spesso: «In Italia il vino viene prodotto ovunque, in Francia solo in un quarto del territorio». Le altre città comprese nelle prime dieci posizioni della classifica sono, al settimo e al nono posto, Los Angeles (che consuma 1,8 milioni di ettolitri l’anno ma, con più di 15 milioni di potenziali consumatori, solo 12 litri l’anno); e Madrid (1,3 milioni di ettolitri per 5,4 milioni di persone, 25,2 litri a testa l’anno). Divisa per Paesi, quindi, la classifica incorona l’Italia con tre città, seguita dagli Stati Uniti con due (ma New York e Los Angeles sono più metropoli internazionali che americane), mentre si fermano a una città tutte le altre nazioni, Argentina, Germania, Regno Unito, Spagna.

Quotidianità, consuetudine e metafora

Risultato: l’Italia è il Paese dove il consumo di vino è distribuito in maniera più omogenea rispetto al resto del mondo. Il sito della rivista Decanter ha calcolato, per la Milano del Franciacorta, la Roma del Frascati e la Napoli della Falanghina, quante sono le bottiglie stappate ogni anno: 666 milioni. Nonostante si pranzi sempre meno a casa, nonostante nelle mense degli uffici il vino sia quasi sempre da evitare, resiste un zoccolo duro di consumatori più o meno giovani. Dovrebbe essere blandito anche dalle molte Cantine impegnate a esportare più del 90%. Perché sono i consumatori per cui il vino è quotidianità, consuetudine e metafora. Come in una canzone di Mannarino.

 

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 04/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com.
Buona lettura!

 

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© Riproduzione riservata - 16/09/2016

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