Chef emergenti a Identità Golose 2017

Chef emergenti a Identità Golose 2017

Sono spinti dalla passione per la cucina. Amano e rispettano i prodotti del territorio, che valorizzano anche contaminandoli con tecniche e sapori di altri Paesi. Sanno che hanno ancora molta strada da fare, e che per essere cuochi serve tantissimo impegno, modestia, pazienza e gioco di squadra. Così si presentano i dodici protagonisti de “La nuova cucina italiana“.

La sezione dedicata agli chef emergenti, una novità di Identità Golose 2017, ha portato fra il gotha della ristorazione alcune belle storie delle nuove generazioni ai fornelli. Ben lontani da qualche loro collega che si pavoneggia sui media, i giovani cuochi hanno dimostrato di essere in grado di portare una ventata di aria nuova nella ristorazione italiana, con i piedi ben piantati per terra.

Le cose che abbiamo in comune

Una caratteristica comune di questi futuri leoni della ristorazione è l’avere la famiglia alle spalle (e magari un fratello in sala). Su dodici protagonisti, ben otto sono a casa loro. Essere figli d’arte significa entrare in contrasto con il genitore ma anche scambiare esperienze e crescere abituati a lavorare a pieno ritmo. Lo sa bene Luca Abbruzzino del ristorante Abbruzzino (Catanzaro), che ha in carta piatti con due espressioni di stile: il suo e quello di suo padre. Sul tema comune dell’edizione 2017 di Identità Golose, “Il viaggio come forza della libertà”, ha presentato una ricetta salata e una dolce scegliendo di interpretare una pala di fichi d’India, un prodotto che ha scoperto in California ma che cresce abbondante anche sotto casa.

Giovanni e Floriano Pellegrino con Isabella Poti

Gli chef emergenti hanno l’orto

La presenza dell’orto è un altro elemento comune a molti giovani cuochi. Le verdure appena raccolte sono dolci e profumate, un vero asso nella manica e questo tutti gli chef lo sanno. Ha un grande orto, ad esempio, Caterina Ceraudo del Dattilo (Strongoli, Crotone), che nella sua ricetta punta su un prodotto fortemente territoriale: la sardella, una salsa di bianchetti (pesciolini neonati) conservati con peperoncino, sale e semi di finocchio. Una specialità che sta scomparendo ma che, con una politica corretta di distribuzione delle risorse, potrebbe rinascere alla grande. Oltre all’orto, Giovanni e Floriano Pellegrino del ristorante Bros (Lecce) allevano direttamente anche gli animali. La loro interpretazione del sanguinaccio, realizzata al momento con l’aiuto della collega Isabella Poti, è un omaggio a questa auto-produzione.

Luca Abbruzzino reinterpreta i fichi d’India

Chilometro zero e chilometro vero

Nella scelta di avere gli ingredienti a breve raggio Stefano Vola di Bontà per tutti (Santo Sefano Belbo, Cuneo) vuole tutto dalla Langa, e siccome il Moscato è simbolo del suo territorio l’ha aggiunto (in riduzione) sopra gli spinaci, nella sua pizza con nocciole, Raschera e prosciutto cotto. Diverso è il “chilometro” di Matteo Metullio de La Siriola (San Cassiano in Badia, Bolzano) che lavora a 1.600 metri e per alcuni mesi è circondato dalla neve. I suoi spaghettini freddi sono a chilometri 4.925, frutto della somma del percorso degli ingredienti: pasta, gamberi, pomodoro e basilico.

Matteo Metullio usa ingredienti “chilometro vero”

Dalla Danimarca al Messico

Riccardo Canella del Noma di Copenaghen ha vedute ancora più ampie: sta già sperimentando i prodotti dell’America Centrale per la nuova postazione messicana, appunto, del locale danese che ha chiuso di recente. Ha presentato una seppia cruda, spennellata con il suo nero lasciato fermentare con le interiora per alcuni mesi (in foto). Una tecnica giapponese che però ha radici più antiche nel garum dei Romani.

I filetti di triglia con riduzione d’arancia e spinaci cotti in olio al rosmarino di Fabrizio Mellino

Contaminazioni esotiche

Quasi tutti i dodici chef emergenti protagonisti dell’incontro hanno avuto esperienze all’estero. Soprattutto in Francia (per il rigore), in Spagna (per la fantasia) e in Giappone (per tecniche in cucina). Inevitabili le influenze nel quotidiano. Michelangelo Mammoliti del Madernassa (Guarene, Cuneo) è stato stregato dalle preparazioni dell’anguilla in un mercato del Sol Levante, e ha riproposto il pesce come ripieno di un raviolo cubico con pasta striata, che ricorda alcune stoffe dell’estremo Oriente.

Michelangelo Mammoliti all’opera

Nuove tecniche. Cottura per osmosi

Chi non sperimenta si annoia, per questo la cucina deve essere fucina di nuove idee. La ricetta di Mattia Spadone del ristorante La Bandiera (Civitella Casanova, Pescara) abbina un autentico gallo da cortile, granaglie e una salsa elaborata con un frazionatore di essenze. Fabrizio Mellino del Quattro Passi (Nerano, Napoli), un nonno pescatore e una vita a due (quattro?) passi dal mare, abbina ai filetti di triglia con riduzione d’arancia gli spinaci “cotti” con il principio dell’osmosi, in olio al rosmarino.

Sgombri con rape e olio di finocchietto di Marta Scalabrini

Infusione in acqua, affumicatura, marinatura

Diversi chef emergenti preparano le infusioni in acqua, come Martina Caruso del Signum (Salina, Messina) nel suo filetto di sgombro con salsa di pomodoro San Marzano in agrodolce, infusione di acqua e pinoli tostati. Lo sgombro è stato scottato con la fiamma del cannello, altra tecnica molto in uso così come l’affumicatura e la marinatura con sale e zucchero. Entrambi questi sistemi entrano in gioco nella preparazione degli sgombri con rape e olio al finocchietto di Marta Scalabrini del ristorante Marta in cucina (Reggio Emilia). Sul filo della sperimentazione anche gli spaghettini risottati allo zafferano di Cristian Torsiello dell’Arbustico (Valva, Salerno), che ha inserito il parmigiano e la cipolla sotto forma di brodo.

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© Riproduzione riservata - 08/03/2017

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